Crystal Gun - fanfiction su Lupin

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  1. _Shinami_
     
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    ESATTAMENTE! Ma in pochi sanno tutto ciò! A breve in 5° capitolo!
     
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  2. Lup1n
     
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    La più fantasiosa, la più brava, la più carina...
     
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  3. _Shinami_
     
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    Capitolo 5 – Trattative,grilletti e motociclette
    ___

    Quel giorno nel covo il silenzio regnava sovrano, l’unico elemento di disturbo era il raschiare ritmico di una penna su dei fogli e l’infrangersi delle onde sulla spiaggia. Lupin lesse attentamente la miriade di appunti che la ragazza gli aveva lasciato e si gustò quel momento di meritato riposo. Sospirò e pensò a Jigen e Goemon che erano fuori da quasi tre ore ormai per giretti vari. Il silenzio venne improvvisamente interrotto dallo squillare di un cellulare.

    -Chi è che rompe?- Pensò lui alzandosi di malavoglia. Fissò lo schermo del telefonino, era spento, ma il suono di una chiamata che si faceva persistente risuonava nel covo. Corse per il corridoio rincorrendo la direzione di quel suono e aprì la porta della sua stanza. Un altro cellulare, di ultima tecnologia, vibrava sul suo letto. Pensò a quanto fosse stupido e come avesse fatto a dimenticarsene.

    Quel cellulare gli era stato lasciato da Yume per le emergenze e si era raccomandata: Massima reperibilità.

    Afferrò saldamente l’apparecchio e se lo portò all’orecchio.

    “Sì?”
    “Lupin? Dio buono, sei vivo!” disse una voce femminile.
    “Yume! Cheri, sai che non so fare a meno di te perciò mi chiami sempre vero?” ridacchiò lui.
    “Queste frasi ad effetto risparmiamocele per la Mine eh… Lupin, sono nei casini” disse lei in un soffio. Effettivamente il ragazzo aveva notato un tono di nervosismo che quasi non le si addiceva.
    “Casini? Ma dove sei?”
    “Sono al Pub, chiusa nella cucina. Ho di là in sala quattro russi con cui devo concludere un affare importantissimo. Ma ho un piccolissimo problema…” abbassò ancora la voce.
    “E cioè?”
    “Il mio mediatore mi ha dato buca. È lui che ha parlato con gli esseri di là fino ad ora e da quel poco di russo che capisco questi vogliono la presenza di un uomo altrimenti mi distruggono il locale e poi distruggono pure me.” Sembrava quasi un silenzioso grido disperato. Lupin fissò l’orologio, erano le 11.14.
    “Sono lì da te tra una mezzoretta.”
    “Mezzoretta? Ma sei al covo? Io credevo stessi fuori! Non penso che mi concederanno trenta minuti! Lupin, Il guaio più grande è che il mediatore funge anche da guardia del corpo . E questi sembrano più interessati al mio corpo che all’affare!”
    “Aspetta, Jigen e Goemon sono in giro dalle tue parti. Li chiamo e vengono immediatamente lì da te. Tu non ti muovere da lì.”
    “Sì ma…” non fece in tempo a finire che il ragazzo attaccò la conversazione.

    -Fa che si sbrighino!- pensò lei stringendo il cellulare nella mano e sperando con tutta se stessa che la discussione con Jigen la sera prima non creasse nessun problema. Fissò l’orologio.

    11.32

    In quel momento dall’altra stanza si udì il rumore di una porta che si apriva.

    -Grazie al cielo!-

    Corse nella sala e trovò Goemon e Jigen che fissavano con piglio confuso i quattro energumeni e poi lei. Yume fece cenno ai due appena giunti di seguirla in cucina. Uno dei russi guardò quello che doveva essere il capo e tirò fuori un coltello che venne lanciato con violenza contro il muro, conficcandosi perfettamente nella parete. La ragazza fece finta di non aver visto e chiuse la porta dietro le sue spalle. Guardò i due ospiti confusi.

    “Cosa vi ha detto Lupin?” sembrava disperata e sull’orlo di una crisi di nervi.
    “Che ci offrivi un caffè. Ma posso intuire dalla tua faccia che stava sparando la cazzata delle undici e venti prima al telefono vero?” rispose Jigen rassegnato.
    “Verissimo! Ora vi spiego.” E raccontò brevemente quello che aveva detto poco prima al ladro. “… perciò voi dovete stare buoni buonini dietro di me e tenere le armi ben in vista. Intervenite soltanto se ce n’è davvero bisogno e mi raccomando, nessuna-mossa-avventata!”
    I due asserirono e Goemon uscì per primo. Quando Yume rimase da sola in cucina con Jigen, lo fissò negli occhi, o per lo meno quello che riusciva a intravedere sotto la falda del cappello.
    “Senti, so che non è il momento ma mi dispiace per ieri sera.” Disse la ragazza in un filo di voce.
    “Hai detto bene, non è il momento. Usciamo o quelli si divertiranno a sfondarti il locale.”

    Yume entrò nella stanza con piglio deciso, dipingendosi sulla faccia un’espressione impassibile e dura. Si sedette su una sedia e lo stesso fece il capo degli esponenti russi, un tipo alto e calvo, che parlava giapponese senza celare il suo dialetto d’origine. Jigen e Goemon rimasero alla spalle della ragazza e lo stesso fecero le guardie del corpo dell’energumeno, lanciando molte volte uno sguardo di pura sfida ai due ragazzi che facevano finta di non vedere.

    Dopo una trattativa molto lunga i Yume e il russo si alzarono all’unisono mentre lei gli porgeva una valigetta piena di fruscianti banconote. Una delle guardie esaminò il denaro e fece un cenno di assenso ad un suo compagno, constatando che i soldi non erano falsi. L’uomo prese da dentro la giacca una scatolina non più grande di un cellulare e lo porse alla ragazza.

    Yume e il russo si strinsero le mani.

    “È sempre un piacere fare affari con te!” disse l’uomo maliziosamente. La ragazza cercò di sciogliere la stretta, disgustata dal tono che aveva usato.
    “Lasciami Kracof.” Rispose lei ferma.
    “Sai che non mi accontento dei soldi.” Ancora tono malizioso.
    “E tu sai cosa ne penso a proposito. Ora molla la stretta.” L’uomo la tirò a sé leggermente.
    “Sei una donna stupenda, ma sei anche troppo seriosa. Non ti f…”

    “Ok, la discussione finisce qui.” Proclamò Jigen puntando il revolver contro l’uomo. Automaticamente tre pistole vennero rivolte verso di lui. Kracof rise e mollò la stretta di Yume che si ritrasse stringendo la scatolina tra le mani ma mantenendo sempre l’aria da donna forte.
    “Abbassate le pistole e uscite dal mio locale, avete i soldi. Ora andatevene.”

    I russi girarono i tacchi ma prima di uscire Kracof si passo la lingua sulle labbra fissando Yume, poi scomparve attraverso l’uscita. La ragazza sentì un brivido percorrerle la schiena e si accasciò sulla sedia. Era un brivido di puro disgusto. Poggiò la fronte contro il palmo aperto sospirando, poi fissò severa Jigen.

    “Quale parte del niente mosse avventate non ti era chiaro?”
    “Non intendo giustificarmi.” Disse lui rinfoderando il revolver.
    “Dio, come mi fai salire i nervi quando dai queste risposte a cacchio.” Strinse i pugni come a smorzare la rabbia.
    “Pensavo di averti risparmiato una proposta indecente da un viscido, non di averti dato fastidio.” Si accese una sigaretta e Yume lo fissò con un misto di rabbia e risentimento.
    “Scusa, hai ragione, ti devo ringraziare- ammise lei- ma ero leggermente adirata per colpa di quel porco.”

    Goemon fissò i due che discutevano.

    “Insomma, ce lo offri questo caffè?- Disse intromettendosi – Anzi, se è possibile vorrei un the giapponese.”
    “Perché non vi fermate a mangiare qui? Chiamiamo anche Lupin.” Disse lei sorridendo stanca.
    “Tanto, non abbiamo niente di meglio da fare…” ammise il samurai componendo il numero di cellulare del ladro.

    ***

    “No, dai, non ci posso credere!” disse Jigen ridendo di gusto, stringendosi la pancia a causa delle fitte causate dalle troppe risate.
    “Ti giuro! –rispose Yume, anche lei ridacchiando –Quella volta è rimasta famosa. Pensa che una volta uscito dal locale quel cretino si è messo a correre per la paura e io sono rimasta qui dentro da sola a sganasciarmi.”
    I tre continuarono a ridere e si asciugarono gli occhi dove pizzicavano lacrime uscite involontariamente.

    La porta si aprì all’improvviso ed entrò Lupin stringendo tra le mani una bustina.

    “Salve signori! Come state?”
    “Mai stato meglio!” rispose Jigen ancora ridacchiando. Arsenio lo fissò confuso ma fece spallucce e indicò l’involucro che aveva tra le mani.
    “Panini per pranzo. Cosa facciamo mangiamo qui?”

    Yume scosse la testa.
    “No ragazzi, vi propongo di andare giù al laboratorio perché devo sbrigare delle faccende e poi bisogna cominciare ad organizzarsi per il colpo. Ho cominciato a costruirvi accessori e apparecchi vari e poi io e te – indicò Lupin – dobbiamo parlare del pagamento di tutto questo.”
    “Già lo so quale è il pagamento.” Rispose lui beffardo.
    “Sì, ma tu sei davvero sicuro di volerlo fare? Ti rendi conto di cosa vuol dire?” il tono era seriamente preoccupato.
    “Ho fatto colpi molto più eclatanti cara!”
    “Ma insomma, ci rendete partecipi?” sbottò all’improvviso Goemon

    Yume tirò fuori la scatolina che aveva appena cambiato con i contanti e la aprì mostrandone il contenuto. Dentro c’era un piccolissimo pezzo di cristallo, fatto a forma di piccola stecca ricurva. Il samurai lo fissò confuso.

    “E questo sarebbe?”
    “Un grilletto. Quello è un grilletto” rispose Jigen dando modo di conoscere benissimo le armi da fuoco, soprattutto le pistole. “Ma mi chiedo cosa se ne fa uno di un grilletto senza tutto il resto. E soprattutto il materiale, che cosa è?”

    Yume richiuse la scatolina.

    “Al covo vi spiego tutto. Andiamo.”
    “Sì, ho la macchina parcheggiata qua fuori.” Disse Lupin mostrando le chiavi.
    “No no, io vengo con il mio Tesoro.”

    I tre la fissarono terrorizzati ma lei tirò fuori un casco e fece spallucce. I ragazzi uscirono dal locale e lei sbucò dal parcheggio in sella ad una splendida Honda CBR 600 RR black.

    “La migliore spesa della mia vita!” disse Yume carezzando il manubrio della possente moto. “Ci vediamo giù. A dopo.” E sfrecciò via sulla strada, sparendo dietro una curva.

    Jigen sorrise sotto i baffi.

    “Ma perché non le dici che ti piace?” disse Lupin con sincerità, come se la questione fosse una cosa così banale e frivola.
    “Semplice, perché non mi piace!” rispose lui infastidito, montando sull’auto.
    “Sese, come no. Ma sappi che è una causa persa, è troppo attaccata al ricordo di Nobuo.”

    Jigen fissò il vuoto davanti a sé e si riscosse poco dopo.

    -No idiota, non credo che sia il momento più propizio per certi pensieri.-

    Ma rievocò nella testa il discorso avuto la sera precedente. E gli venne naturale sorridere.

    Jigen era convinto che Yume non gli piacesse. Non era tipo da sentirsi il salvatore del mondo ma sentiva il bisogno di aiutare quella ragazza ad uscire fuori dalla situazione in cui si era cacciata. Aveva capito, dalla prima volta che ci aveva parlato, che il suo secondo lavoro non era stata una cosa voluta da lei; Sentiva anche che in qualche modo centrava Nobuo, ma non capiva assolutamente il perché.

    Intanto Yume sulla moto sorrideva beata. Sentire il vento che le tagliava la pelle e i capelli che si scompigliavano. Non c’era situazione più bella e divina di quella. Non pensava minimante a nient’altro quando sfrecciava con la Honda. Se l’era comprata con i primi soldi del locale chiedendo, naturalmente, il permesso a Nobuo. Lei all’epoca, non sapeva quale storia c’era dietro alla compravendita del locale e come era ridotto il suo ragazzo. Non sapeva che era tanto ormai che frequentava giri poco raccomandabili, era convinta con tutta sé stessa che quei soldi se li fosse guadagnati onestamente lavorando mattina e sera, come faceva lei.

    Non avrebbe mai pensato a quale giro strano e contorto ci fosse dietro.

    Scosse la testa, era sulla moto, e quei pensieri era meglio scacciarli via in quei momenti. Non seppe il perché ma per un attimo le venne in mente un viso familiare nella testa e sorrise involontariamente nel rievocare quel gesto di galanteria, cercare di proteggerla.

    -Jigen, questo non è da te… da come ti descriveva Lupin eri una macchina fredda. Cosa ho fatto?-

    Sorrise beffarda. In fondo, ma molto in fondo, non le dispiacevano le attenzioni di quell’uomo e si maledisse per quel pensiero.

    ____

    Ohh, finalmente ho aggiornato! Allora che dire, vi ho detto pure troppo cose in questo capitolo u.u, nel prossimo vedrò di contenermi. Ringrazio i miei fidi recensori. Troppo buoni, scusate ma non ce la fo a ringraziarvi tutti.

    Uh a proposito, vi linko la foto della Honda che, se proprio vogliamo dirla tutta, è il mio sogno proibito. Sì, sono strana. Una donna a cui piacciono le moto e gli aniem da maschio non è roba da tutti i giorni eh? Bacio e commentate!

    Hinda Cbr 600RR
     
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  4. _Shinami_
     
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    Capitolo 6 – La Crystal Gun
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    ***Flashback***

    “Yume io ti amo!” un urlo, che le trapassa le orecchie.
    “E vuoi sapere quale è la verità più sorprendente Nobuo?” rumore di tacchi che si voltano e una porta che si apre.
    “Quale?” un sorriso di lei, amaro, dove è celato anche segreto disgusto
    “La verità è che io non ci credo più.” Una porta che si chiude.

    ***Flashback end***


    “Yume ci sei?” chiese Lupin scuotendo la mano davanti al viso della ragazza che per tutta risposta strabuzzò gli occhi, cose se si fosse appena destata da un sogno. O da un incubo.“Mh? Sì sì, sto ascoltando.”
    “A me non pare per niente.” Disse Jigen sorridendo, immaginando la risposta della ragazza.
    “Tu fatti i cavoli tuoi.”
    -Ecco appunto…- e il ragazzo allargò il sorriso accendendosi una sigaretta. Per tutta risposta Yume assunse un piglio offeso e gli strappò la cicca dalla bocca.
    “Il fumo passivo fa più male di quello attivo.” Si giustificò

    “…insomma –continuò Lupin facendo finta di non aver assistito a nessuna discussione- tutto quello che serve è il dispositivo che mi hai segnalato tu e la parte piccola del modello ‘x.ces’! Non è roba difficile.”
    “No, no, dammi due giorni e ti rimedio tutto. Ma ora veniamo a noi.” Disse rivolta verso Jigen e Goemon riferendosi a quello che avevano discusso al locale. “Sapete che, come ogni fornitore che si rispetti, anche io voglio il mio pagamento. Ma ho chiesto a Lupin più che altro un favore. Diciamo… un colpo in cambio di un altro.”
    “Spiegati.” Disse il samurai cambiando posizione sulla sedia. Yume accese un portatile, uno dei tanti nella stanza.

    “Qui,- disse indicando una piccola cartella sullo schermo- ci sono informazioni di segretezza nazionale. Ho sudato 7 camice per ottenerle. Diciamo che il governo giapponese, americano, e quello italiano, la CIA e l’FBI hanno provato a tenerlo nelle loro mani in tutti i modi. Qui, lor signori c’è il testamento di mio padre.”

    I tre fecero fissarono quella minuscola busta gialla sullo schermo. Possibile che così tanta gente si desse pena per un semplice file di word?

    “Come mai non ti volevano dare il tuo testamento? Non è roba che ti appartiene di diritto?” chiese Jigen confuso.

    “Esatto, ma essendo un file di PC, molte persone hanno insinuato che lo abbia scritto io. Ho ingaggiato una battaglia legale che non vi sto neanche a raccontare e dopo un anno ho scoperto che ero l’unica persona a poter leggere quel file. Mio padre l’aveva protetto con codici su codici e nemmeno i migliori informatici del governo erano riusciti ad aprirlo. Vi ho già detto che mio padre era una persona scomoda nel progetto Doppia Alfa, aveva idee rivoluzionarie e andava contro ogni corrente bellica ma…”

    “Ma?” dissero Jigen e Goemon in coro.

    “Ma sapeva già quale sarebbe stata la fine della figlia se non le avesse dato qualcosa con cui proteggersi. Il mio genitore, dal momento in cui entrò nel giro della politica americana, era più che cosciente della sua futura morte. Ecco perché vincolò tutti i suoi progetti, li vincolò a me. Quando fui abbastanza grande mi disse tutto quello che dovevo sapere sulle sue idee e la cosa più comica di tutto questo, fu il fatto che io servivo al governo, servivo viva perché solo io potevo aver accesso ai documenti di mio padre. Simulai una finta morte e cambiai identità. Mi nascosi da tutti e continuai la mia battaglia contro il governo da sola. Scoprii che papà aveva dato una falsa traccia, il vero testamento era in mano al suo avvocato di fiducia e, mentre i governi ancora cercano di aprire un documento che, se proprio lo volete sapere è del tutto bianco, io ho in mano quello che il mio genitore creò per me. O per lo meno il progetto.”

    “Diciamo che non sei riuscita a vivere una vita tranquilla tu.” Disse Lupin ridacchiando e Yume ricambiò.
    “Il grilletto, quello che mi ha dato quell’essere immondo poco fa, è una delle parti dell’arma che mio padre mi volle lasciare come dono prima della sua morte. Lui la chiama Crystal Gun.”
    “La pistola di cristallo.” Disse Jigen pensieroso. Yume annuì con la testa.

    “ Mh mh. Però, analizzando il materiale di cui è composta ti posso dire che non è cristallo puro, si infrangerebbe subito. No, è stemperato con qualcosa, ma il computer non riesce ad identificare questo materiale. Nel file- aprì la cartella sul PC- papà mi dice che molte parti della pistola sono già pronte, costruite da lui stesso e sparse in giro per il mondo e diciamo anche che la maggior parte sono già in mano mia. Ma nel progetto- indicò un intricato disegno- mancano molti pezzi essenziali e ci sono precise direttive su come costruirle. Il problema è che manca la ‘ricetta’ dell’ingrediente segreto.”

    “E qui entriamo in scena noi…” disse Goemon guardando la sua spada. Che avessero a che fare con un altro materiale indistruttibile?

    “E qui entrate in scena voi. Dovete rubare il file dove è nascosto il progetto del materiale con cui devo diluire il cristallo e, come potete bel pensare, non sarà cosa facile.”
    “Posso sapere a cosa ti serve una pistola di cristallo?” disse Jigen mosso da una profonda curiosità. In fondo, le armi da fuoco erano il suo campo preferito…
    “La cosa più bizzarra è che non ne ho la più pallida idea.” Rispose semplicemente lei spegnendo il computer e guardando le facce stranite dei tre. “Ma se mio padre mi ha lasciato un simile incarico qualcosa sotto c’è per forza. Allora, mi darete una mano?”

    “Ma certo cheri. Contaci!” disse Lupin alzandosi di scatto e stringendo il pungo con fare trionfante.
    “Mi pare il minimo come pagamento.” Continuò Jigen annuendo.
    “Io sono con loro.” Terminò Goemon.

    “Ok, ora vi dico dove dovrete rubare il progetto…” Il gruppo di ragazzi la fissò attonito quando lei pronunciò con tono solenne la parola: Pentagono.
    “Ok, ora non scherziamo e dicci la verità.” Provò a sdrammatizzare Jigen, sperando con tutto se stesso che Yume li stesse prendendo in giro, ma per tutta risposta la ragazza gli lanciò uno sguardo inceneritore.
    “Ma tu ti rendi conto di cosa è il Pentagono ? Ci lavorano i maggiori esponenti della polizia americana lì dentro, è qualcosa di inespugnabile!” provò a giustificarsi l’uomo usando il tono più impassibile che aveva.
    “Devo rammentarti che voi tre siete riusciti ad entrare nell’Area 51 senza troppi intoppi?”

    -Ma sant’iddio, questa sa davvero tutto di noi! Ci manca solo che se le chiedo dove compro le cravatte mi risponde in modo corretto. Quasi quasi poi ci provo più tardi a fargliela questa domanda…- pensò Jigen attonito.

    “Suvvia ragazzi! Insomma, siete o non siete… voi!” disse lei alzando gli occhi al cielo e usando un tono alquanto esasperato.
    “Ma si può sapere come ci è finito un file di quel tipo nel Pentagono?” A parlare era stato Goemon che, sinceramente, si era stufato dei continui botta e risposta tra Jigen e Yume.
    “Ce lo ha messo papà.” Disse semplicemente lei. “Molte volte ci andava per lavoro. Mi ha lasciato scritto precise istruzioni su come trovarlo. Avanti! Io confido in voi tre, i credo nelle vostre capacità più di chiunque altro!”

    -Che opera di convincimento poco riuscita…- pensò amaramente Jigen che per tutta risposta si alzò e mugugnò qualcosa di incomprensibile mentre gli altri tre lo fissavano confusi.

    “Lo posso prendere come un sì?” disse alla fine Yume incerte sul da farsi e i ragazzi annuirono. Lei fece un sospiro e strinse la mano a tutti per sigillare quel patto.
    “Lupin, ti dispiace tirare fuori i panini? Io sto morendo di fame!” disse la ragazza portandosi una mano allo stomaco emulata dagli altri.

    Nelle tre ore successive il quartetto chiacchierò del più e del meno e Yume mostrò i pezzi della Crystal Gun che aveva già reperito; secondo il lascito del padre dovevano esserci ancora due componenti da recuperare e poi bisognava fabbricarsi il resto da soli. Inoltre la ragazza, prevenendo già un bel po’ di pericoli, aveva cominciato a costruire una parte dell’attrezzatura e i tre ragazzi si stupirono quando lei li condusse in una zona del capannone dove non erano mai stati.

    “Ma si può sapere quanto è grande questo posto?” disse Lupin guardandosi intorno notando l’enorme stanzone dove troneggiavano in modo ordinatissimo tute, macchinari strani, orologi e occhiali di tutti i generi, cinte… sembrava un set di 007.
    “È grande…” disse lei con un sorriso. “Sentite, non mi va di fare la guastafeste ma ho una montagna di lavoro arretrato. Posso, gentilmente, invitarvi ad uscire?” I tre annuirono sicuri e si girarono prendendo la via dell’uscita. “Emh… Jigen, non è che ti potrei parlare un attimo in privato?” disse lei usando un tono alquanto insicuro.

    I ragazzi si fissarono confusi tra di loro poi Lupin diede all’amico una gomitata tra le costole che venne notata anche da Yume che, per risparmiarsi ulteriori figuracce, fece finta di non aver visto niente. Prese una chiave dal tavolo e la tirò a Lupin dicendogli di aprire il cassetto numero 6 nella stanza dei macchinari per tirare fuori i piani del padre. Il ragazzo la salutò sventolando la mano e poi guardò Jigen facendogli l’occhiolino.

    Yume sorrise poi si girò verso Jigen e gli puntò un dito contro, sempre sorridendo. Lui si ritrasse leggermente e la guardò curioso nelle pozze azzurre che aveva per occhi.

    “Secondo me ti piacerebbe vedere ciò che c’è dietro quella porta.” E indicò una pesante porta blindata sul muro. Il ragazzo dopo aver sussurrato un live ‘posso?’ e aver atteso un cenno di assenso di Yume, tirò verso di lui il grande maniglione.

    “Dio buono!” si sentì un bambino in un negozio di caramelle.
    “Fico è?” disse la ragazza sbucandogli dietro le spalle. “L’ho fatta costruire dopo che ho scoperto quale era il dono di papà.”

    Davanti a loro si stagliava un enorme poligono e sul muro di fronte alla zona di tiro si stagliavano una marea di armi da fuoco di ogni tipo, disposte in modo ordinato e catalogate secondo tipo, grandezza, potenza… Jigen la fissò confuso e poi chiese

    “Come mai mi hai portato qui? Suppongo che non sia una visita di piacere.” Disse lui perdendosi in quel mare di pistole.
    “Già. Vedi, se mi dovrò portare dietro una pistola di cristallo suppongo che dovrò anche imparare ad usarla e non esistono corsi in audiocassetta che ti dicano come imparare a sparare.” Disse lei con la sua faccia da schiaffi meglio riuscita.
    “Mi stai chiedendo di farti da insegnante?” Jigen si lasciò sfuggire un sorriso.
    “Perché hai qualche altro impegno Daisuke?” Ancora la faccia da schiaffi. Il ragazzo dovette ammettere a se stesso, anche se malvolentieri, che quel piglio la rendeva davvero carina.
    “No, non credo. Quindi… hai capito che se ti ispiro fiducia non è un male?” aveva tentato l’impossibile, aveva tentato di scalfire quella maschera di ghiaccio che si era messa la sera prima.
    “Forse, forse l’ho capito.” Yume sorrise e afferrò una bella pistola dal muro “Quando si comincia Professor Jigen?”
    “Quando vuole lei Signorina Narako.” E sorrise anche lui, perdendosi negli occhi azzurri della sua allieva.

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    Altro giro, altro capitolo. Aspetto verdetti!

     
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  5. _Shinami_
     
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    Capitolo 7– Lezioni di tiro
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    Yume nuotava avanti e indietro in quella piscina senza tregua. Si muoveva in acqua da una buona oretta ormai e aveva tutti i muscoli indolenziti. Non le importava niente, aveva bisogno di uno sfogo alternativo al piangere bevendo camomilla sotto le coperte del letto. Doveva dire che ultimamente le cose nella sua vita cominciavano ad andare per il verso giusto e, le fu difficile anche solo pensarlo, la maggior parte del merito andava a Jigen.

    Avevano cominciato a fare le loro lezioni, ma per ora erano stati per lo più insegnamenti teorici: studi basati sul calcolo della traiettoria di tiro, sull’estrarre un’arma, sul ricaricarla il più velocemente possibile. E a Yume piaceva davvero tanto poter imparare quelle cose, finalmente poteva dirsi davvero esperta di pistole. Non si limitava a catalogarle e rivenderle, ora le usava anche lei quelle armi tanto pericolose quanto affascinanti e le lezioni con Jigen la rendevano piena di vita e di voglia di apprendere.

    Lezioni che ormai andavano avanti da una mesata e qualche settimana. Inoltre in quei giorni Yume era riuscita a recuperare uno dei due pezzi mancanti dalla Crystal Gun.

    Uscì dalla vasca frizionandosi i capelli con un asciugamano e salutò tutti i compagni di corsia con educati gesti della mano. Si infilò nella doccia dello spogliatoio e lasciò che l’acqua bollente le lavasse via il cloro dalla pelle. Dopo il doppio shampoo si avvolse nell’accappatoio di spugna e sgusciò fuori dal cubicolo prendendo fono e spazzola, districando i numerosi nodi che si andavano naturalmente formando sui boccoli scuri. Lasciò i capelli umidi, stanca di fonarli e si infilò la pesantissima felpa buttando nel borsone cuffia, accappatoio, occhialetti e ciabatte in modo assolutamente disordinato. Si mise le cuffiette del fidato i-pod nelle orecchie e uscì dalla palestra stringendosi nel felpone di pile mentre camminava piano sulla salita che l’avrebbe condotta sulla strada di casa.

    -Che frio…- pensò lei tremando un poco. Guardò l’orologio mentre si sistemava la cintura della borsa, evitando per poco lo strozzamento e proprio in quel momento una 500 gialla gli si parò davanti. Lei sorrise divertita, si sarebbe aspettata di tutto, meno che incontrarlo davanti la palestra. Si avvicinò alla vettura e l’uomo al volante tirò giù il finestrino mentre lei vi si poggiava con entrambe le braccia e lo guardava divertita.

    “Come mai da queste parti Daisuke?”
    “Potrei farti la stessa domanda… ” ricambiò il sorriso accendendosi una sigaretta. “Comunque stavo andando in magazzino. Non avevamo lezione oggi?”
    “Sì…-controllò l’orologio cercando conferma nei suoi dubbi.- Ma sei in largo anticipo! Io stavo andando a casa a posare la borsa ma visto che ci sei…”
    “Sali, andiamo direttamente al capannone e dopo la lezione ti riporto a casa io.” Disse Jigen togliendo la sicura. Yume entrò e gettò la borsa sul sedile posteriore.
    “Mi sto chiedendo seriamente se questo è sfruttamento della persona. -Disse lei improvvisamente- Prima mi fai da mediatore, poi da insegnate gratuito e infine da autista, quale sarà la prossima mossa?” chiese lei con una punta di sarcasmo nella voce.
    “Imparare a suonare la chitarra e a costruire marchingegni alla 007. A quel punto potrò entrare a far parte della tua vita come alterego e mi spaccerò per te.” Disse lui sorridendo e lei rise di cuore.

    Yume pensò molto al dire o non dire la frase che le girava nella testa da quando era salita nella macchina, considerando i precedenti diverbi, ma decise di tentare lo stesso.

    “Senti, so che sono una grande rompi palle, ma sei proprio sicuro di non volere essere pagato?”
    “Quante volte te lo devo dire che non voglio un centesimo? Mi pare di averne già discusso. Stai imparando ad usare le pistole per uno scopo più che nobile e questo è tutto. Ora, gentilmente, cerca di non tornare più sull’argomento! Ok?”
    “Ok. Ma…” Jigen le lanciò un’occhiata torva e lei represse tutte le sue intenzioni di smuoverlo e lo fece una volta per tutte. Avevano avuto un’accesa discussione riguardo all’argomento ‘pagare lezioni’ e quel giorno erano volati parecchi insulti da entrambe le parti.

    Ma Yume scoprì che litigare con quell’uomo non le dava fastidio, forse perché per la prima volta dopo la morte di Nobuo qualcuno non reprimeva le proprie idee davanti a lei per non farla soffrire e se c’era da dirle un bel vaffanculo glielo spiattellava in faccia. E Dio solo sa quanti se ne erano detti il giorno in cui Yume gli aveva proposto per la prima volta di pagargli le lezioni.

    La ragazza fissò Jigen che guidava fumando tranquillo, poggiando il viso sul pugno chiuso quando c’erano momenti di attesa, chiedendosi quale fosse il nobile motivo che aveva citato poco prima e, mossa dalla curiosità, glielo chiese partendo un po’ alla lontana.

    “Jigen… posso farti una domanda?” sembrava un po’ impacciata in quei momenti e il ragazzo non poté fare a meno di sorridere.
    “Dipende dalla risposta che ti devo dare.” Disse lui con sincerità. C’erano cose sul proprio passato che non voleva sbandierare a tutti.
    “Per quale motivo spari? Insomma, come hai detto tu io ho un motivo più che nobile ma tu?”
    “Io? Beh, quando ero piccolo i miei genitori morirono in una sparatoria e mi ripromisi di uccidere quei cani nello stesso modo in cui li avevano fatti soffrire.”
    “E ci sei riuscito?” Yume fece la vocina piccola. Aveva timore ad addentrarsi nel passato di quell’uomo che per tutta risposta si girò e la guardò negli occhi annuendo serio.
    “Dopo quel fatto scoprii che non era poi così male maneggiare una pistola e continuai ad usarla, sempre meglio, sempre meglio…”
    “…Finché non diventasti il migliore.” Concluse lei sorridendo. Lui ricambiò quasi imbarazzato e parcheggiò la macchina in un piccolo spazio dietro il capannone. Finalmente Yume comprese cosa intendesse per nobile motivo. E per la prima volta nella sua vita pensò che, in fondo, non fosse del tutto una causa persa ricominciare a vivere.

    L’odore pungente della salsedine colse i ragazzi alla sprovvista e uscendo si grattarono il naso che pizzicava fastidiosamente. Yume tirò fuori la borsa e prese un mazzo di chiavi mentre Jigen la guardava confuso.

    “Mi stai dicendo che tu tieni sotto sorveglianza un capannone con dentro svariati miliardi di dollari con un… mazzo di chiavi?”
    “Perché? C’è qualcosa di strano? Certe volte sono sempre le cose più semplici a spiazzare la gente.”

    -Già, questo è vero- pensò Jigen mentre lei apriva la porta. Spinse con forza il maniglione e camminando tra i scatoloni arrivò davanti il muro che nascondeva l’ascensore. Posò un palmo contro un mattone e ci fu uno scatto metallico. I due si infilarono nella parete-ologramma e scesero verso il basso.

    -Allora c’è anche un rivelatore di impronte digitali dietro a tutto questo!- Pensò Jigen capendo la sicurezza della ragazza. Quando arrivarono Yume buttò la borsa su un divano e andò verso il frigo tirando fuori una bottiglietta d’acqua e uno yogurt alla banana.

    “Vuoi?” chiese lei tirandogli una birra. Jigen la fissò e attese che gli venisse lanciato anche il cavatappi.
    “Ma tu non bevi mai nulla di alcolico?” chiese sorseggiando la bottiglia appena aperta. Lei si sedette sul divano a gambe incrociate e dopo aver aperto il barattolino leccò la pellicola di alluminio dove era rimasto dello yogurt.

    “Non bevo nulla di alcolico per il semplice motivo che sono astemia. Non ci sono abituata, mi ubriaco con due bicchieri di succo di frutta figurati con un sorso di birra.” Disse lei sarcasticamente e Jigen immaginò divertito Yume che si scolava dieci bourbon e stramazzava a terra. Ripensandoci non era per niente divertente e cercò di scacciare quell’immagine dalla testa. La ragazza intanto gustava il suo yogurt come se niente fosse e quando lo ebbe finito tirò la scatolina in un cestino lì vicino.

    “Senti. Visto che siamo in abbondante anticipo ti dispiace se prima di fare lezione finisco di costruire una cosa? Roba da un’oretta, non ti preoccupare.”
    “Non mi preoccupo, anzi, mi interessa vederti mentre monti quei trabiccoli infernali.”

    Yume si tolse il pesante felpone e chiese a Jigen di aspettarla lì. Prese la borsa e andò nell’latra stanza, uscendone poco dopo tenendo addosso una maglietta e una salopette da lavoro, simile a quelle che indossano i meccanici.

    “Andiamo. Guarda tu se uno deve finire il lavoro arretrato anche nei giorni di calma piatta. Dio che stress!”

    Afferrò la bottiglietta d’acqua e così dicendo imboccarono i corridoi che li avrebbero condotti nella stanza dove Yume teneva tutti gli attrezzi da lavoro attaccati ad una parete. Lì, la ragazza afferrò un grosso macchinario poggiato su una delle scrivanie e lo posò sul tavolo al centro della camera, poi spense tutte le luci e lasciò accesa solo quella che puntava direttamente sul piano di lavoro. Andò verso la parete e con fare pensieroso afferrò con noncuranza parecchi cacciaviti e chiavi di ogni tipo, infilandoseli nel tascone della salopette.

    Jigen dal canto suo non sapeva come muoversi e Yume lo fissò sorridendo.

    “Guarda che non mordo. Vieni qui dai, così guardi il mio lavoro mortalmente noioso.”

    Lui prese una sedia e l’accostò al tavolo mentre la ragazza prendeva un portatile e tirava fuori da un cassetto quelli che sembravano dei chip e delle piccole schede metalliche. Con gesti lenti prese un cacciavite e cominciò a svitare ad uno ad uno tutti i componenti del macchinario.

    “Posso sapere cosa è quel coso?” chiese Jigen osservando la scena.
    “Questo? Uh, nulla di importante…- scoperchiò la scatola metallica e un groviglio di fili si alzò confusamente formano un gomitolo variopinto – solo il sistema di antifurto della casa di un boss, e lo devo aggiustare.

    Tirò uno dei fili e immediatamente una grossa nuvoletta di fumo denso e scuro venne scaturita dal macchinario. Yume tossicchiò e spostò l’aria sventolando la mano.

    “Dio buono, chiunque abbia costruito questo coso ora deve avere un bel po’ di anni.”
    “Cosa te lo fa dire?”
    “Beh, i fili sono saldati con… una fiamma. Sì, è talmente vecchio che deve essere addirittura quella di un accendino. Ora per saldare usiamo questi – tirò fori dalla tasca quella che sembrava una piccola penna – laser ad alta definizione. Costano l’ira di Dio, ma ne vale la pena.”

    Si mise lì, ad armeggiare con quel groviglio tenendolo su con le mani e sciolse i cavi ad uno a uno mediante un paio di pinze. Una ruga di espressione le si formò sulla fronte mentre era così concentrata e Jigen non si lasciò sfuggire nessun misero particolare del suo viso. Era catturato dal piglio deciso della ragazza e si fermò ad osservarla più del dovuto. Si maledisse mentalmente per quel suo comportamento.

    Yume si asciugò una gocciolina di sudore con la manica.

    “Jigen, me la offri una sigaretta?” chiese improvvisamente lei. Il ragazzo sobbalzò a quella strana richiesta ma le porse ugualmente il pacchetto.
    “Ma perché tu fumi?” disse prendendone una anche lui. Yume aspirò una bella boccata e tirò fuori in fumo, poi sorrise.
    “Saltuariamente…” Si rimise ad armeggiare con i fili afferrando ogni tanto la sigaretta abbandonata sul posacenere.

    Jigen la guardò curioso e poi disse, cambiando discorso:

    “Senti, mi dispiace che i nostri rapporti non siano partiti con il piede giusto, è solo che dico sempre quello che penso senza rifletterci troppo. Sono un po’ troppo diretto.”

    Yume posò il cacciavite.

    “Non capisci, ti apprezzo per quello. Sei la prima persona che mi parla senza paura di ferirmi e senza tenersi le cose dentro. Mi saresti servito molto prima, come sfogo intendo…” sorrise amara e armeggiò con gli apparecchi che aveva in mano.

    Dopo un oretta circa, collegò l’ultimo filo e lo saldò con il laser.

    “Credo sinceramente di aver fatto un bel lavoro.” Osservò lei soddisfatta. Jigen si sporse per osservare l’interno della scatola, ora tutti i fili erano riuniti per colore e saldati tra loro con ordine.
    “Lo credo anche io… pur non capendoci molto.” Sorrise rivolto alla ragazza e lei sbuffò sfilandosi le bretelle della salopette.
    “Che stanchezza. Me li concede cinque minuti prof?”
    “Come desidera. Io intanto vado di là a preparare il poligono.” Disse Jigen alzandosi e Yume afferrò una bottiglietta d’acqua buttando giù un grosso sorso.
    “Grazie prof… e faccia con comodo, tanto la strada la conosce già.”

    -Oggi le gira decisamente bene- constatò Jigen, e decise di aumentare quel buonumore. Le lezioni teoriche ormai erano superficiali, era ora di sparare.

    Entrò nel Poligono e accese le luci di tutta la stanza. Ormai si sentiva quasi a casa lì dentro e vi girava tranquillo, con familiarità. Entrò nella piccola stanza che fungeva da ripostiglio, prese un foglio con sopra disegnato il bersaglio e tornò nel grande salone adiacente dove spinse un pulsante sulla tastiera del computer della stanza e dalla corsia numero uno scese immediatamente un pannello di legno dove con maestria attaccò il bersaglio.

    In quel momento entrò Yume.

    “Non mi dire che tu oggi ti metti a sparare e a me tocca di nuovo esercitarmi da sola!” Disse lei dispiaciuta agitando le mani nervosa.
    “Io ti dico che oggi spari tu.” Rispose lui spingendo il pulsante per portare indietro il bersaglio, ad una distanza abbastanza ragionevole per un principiante. Yume sgranò gli occhi e, colta di sorpresa, vide lanciarsi dal ragazzo una pistola che riuscì ad afferrare per miracolo.
    “Uao, era da tanto che volevo farlo…” disse lei rigirandosi l’arma tra le dita con fare confuso, come se si aspettasse tutto meno che quello. “… ma non è che mi senta poi così tanto pronta!”
    “Qui l’insegnate lo faccio io e stabilisco io quando puoi cominciare a sparare. Beh, puoi cominciare a sparare!”

    Yume afferrò la pistola più saldamente e guardò Jigen con aria di sfida.

    “Mi fido di te Daisuke.”

    Jigen sorrise. Era l’unica persona che lo chiamava per nome e, stranamente, non gli dava fastidio.

    “Dai, vieni qui e mettiti in posizione come ti ho insegnato. Fai tre colpi di prova.”

    Yume si avvicinò al gabbiotto e indossò le cuffie di sicurezza. Prese la mira e sparò, dopo aver preso bene la distanza e aver aggiustato la posizione delle gambe, i tre colpi. Jigen riavvicinò il bersaglio e sorrise.

    “Pensavo peggio.” Mostrò il foglio alla ragazza. Un solo colpo era nell’area centrale, ma lontano dal centro perfetto, e gli altri due, pur rimanendo nella zona del bersaglio, erano ancor più distanti. Yume non si accontentò e ricaricò la semiautomatica.

    Andarono avanti per circa due orette ma alla fine Yume aveva fatto due centri perfetti e uno nella zona centrale.

    “Secondo me è stato solo culo.” Disse lei sbuffando ma sorridendo. Jigen le diede una pacca sulla spalla e lei gli rubò il cappello mettendoselo in testa ricambiando il sorriso. Lui provò a riprenderlo ma lei si ostinava a bloccarselo sulla testa e alla fine si arrese.

    “Dai, ti riaccompagno a casa che è tardi!”
    “Guarda che non ho genitori che mi strillano se ritardo eh.” Sbottò lei tirandogli con un colpo di polso il copricapo.

    Uscirono e si infilarono in macchina chiacchierando tranquilli fino a casa di lei.

    “Credo che tu sia arrivata a casa.” Disse Jigen sorridendo, quasi tristemente. Yume lo guardò negli occhi e decise che, per una volta, poteva anche cedere a quel desiderio sfrenato che le raschiava lo stomaco. Si sporse verso di lui e gli diede un semplice bacio sulla guancia.
    “Grazie Jigen. Di tutto.” E uscì.

    Il ragazzo rimase lì, con un espressione sul volto che passava dallo scettico, allo sconcertato, al felice.

    Tornò a casa e si chiuse in camera a doppia mandata, senza salutare nessuno. Cenò in silenzio, sotto lo sguardo indagatore di Jigen e Lupin. Quando tornò al letto, il petto gli si infiammò al solo pensiero del leggero tocco sulla sua guancia e inconsciamente si portò una mano proprio lì, dove sentiva la pelle ardere.
    Quando si rese conto del gesto si maledisse mentalmente.

    -E no bello mio. Lei non ti vuole e non distruggerai tutto quello che si è creato. Tu ti metti in testa, ora, che lei non ti attrae. Lei non ti attrae!-
    Non mi attrai!” Ripeté a voce alta, con una lieve prova di auto convincimento. Dall’altra stanza Lupin rispose:

    “E ringraziamo Dio che non ti attraggo! Sai com’è, ti vedo solo come un buon amico…”

    Ciò che gli disse come risposta, beh, evitiamo di raccontarlo. La notte calò inesorabile e Jigen si infilò sotto le coperte.

    -Lei non ti piace.-

    Rivide il suo sorriso nella testa e il cuore gli si sciolse.

    -Oh porca vacca!-
    __________________

    Che dire, spero che qualcuno commenti il mio operato! Dai siate clementi! Un beso

     
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  6. Lupinthethird
     
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    Molto molto bello, complimenti..
     
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  7. _Shinami_
     
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    GRAZIE!
     
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  8. Lupinthethird
     
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    PREGO
     
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  9. Lup1n
     
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    Bello, meraviglioso, bellissimo!!!! ALtri capitoli SUBITO!!!
     
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  10. Lupinthethird
     
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    Stai cercando di conquistare la donzella, eh?? XD XD Cmq bellissima storia, complimenti shinami..
     
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  11. _Shinami_
     
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    Capitolo 8 – Nothing else matters (nient’altro ha importanza)
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    Kenta Raimi era l’unica persona capace di cacciarsi nei guai in qualsiasi situazione. Era una dote innata, che si portava dietro da quando aveva otto anni, da quel maledetto giorno in cui aveva trovato per puro caso una merendina abbandonata sotto il suo banco. Sta di fatto che la merendina era di proprietà del bullo della classe. Kenta portava ancora addosso i segni del pugno di quel ragazzo. Ed anche ora, mentre correva come un forsennato per non tardare più del dovuto, ripensava a quella maledetta brioche. Il cellulare squillò improvvisamente e non ebbe neanche il coraggio di leggere il mittente o, per meglio dire, non ne ebbe bisogno.

    “Pronto?” ansimava, a causa della corsa senza tregua che era stato costretto a fare.
    “Dove sei?” la voce all’altro capo del telefono era forte e autoritaria.
    “Sto arrivando. Sono maledettamente vicino.”
    “Celere Kenta. Celere.” Sembrava spazientito, e il Raimi sapeva cosa significasse.

    Ripose il cellulare nella tasca e guardò la porta che aveva davanti. La dea bendata, oltre a rovinargli la vita, era stata capace anche di dargli due buonissimi piedi per correre veloce come il vento. Poco male, Kenta sapeva cosa farne: corre più veloce dei guai che lo perseguitavano.

    Bussò tre volte piano e tre volte più veloce. Qualcuno andò ad aprire.

    “Sei in ritardo.”disse un uomo sulla trentina, un armadio dalla pelle olivastra Una cicatrice scura gli deturpava il viso sotto l’occhio sinistro, tanto che la gente del covo era solito chiamarlo Capitan Harlock.
    “Non mi devo giustificare con te”
    “Al capo non piacerà.” Sorrise, immaginando la punizione.
    “Al capo fa comodo il mio servizio, molto più del tuo, inutile apriporta.”

    Decisero di interrompere lì la conversazione. Ora c’era in ballo qualcosa di più grande di una semplice discussione. L’uomo che accompagnava Kenta annunciò il suo arrivo.

    “Spero che ti strappi quella brutta lingua biforcuta che hai nella bocca.” Disse con tono di puro odio l’armadio.
    “Ti auguro la stessa, simpaticissima, sorte Harlock.” E si richiuse la porta alle spalle.

    L’ambiente era scarsamente illuminato e Kenta fu costretto a stropicciarsi gli occhi per farli abituare alla tenue luce delle candele che pendevano dal soffitto.

    “Sei in ritardo.”
    “Sì lo so.” L’interlocutore lo guardò con astio.
    “Se non mi fossi così utile potrei benissimo sbarazzarmi di te.”
    “Lo hai detto tu. Ti sono utile. Non mi ucciderai…”
    “… Per ora.”

    Kenta si mise seduto sul lungo tavolino non badando troppo alle parole che aveva pronunciato l’uomo.

    “Per quale motivo mi hai fatto chiamare?” Chiese il ragazzo mettendosi le mani dietro la testa e buttando i piedi sul tavolino.
    “C’è… un lavoro urgente che tu devi sbrigare.”
    “Umpf, i tuoi lavori sono sempre urgenti. Di chi si tratta?”

    “Di Yume.”

    Parole fredde, pronunciate con astio. Kenta, spaventato, fissò l’uomo con titubanza e si alzò di scatto.

    “Cosa centra Yume, ora?” quasi un urlo. Non gli importava della ragazza, gli importava della propria vita e sapeva a cosa stava per andare incontro.
    “Ha quasi finito di completare la Crystal Gun. Le mancano solo i progetti del padre. I miei informatori sanno.”

    Kenta arretrò fino al muro mentre l’uomo tirava fuori una pistola bellissima, fatta del miglior metallo in circolazione e intarsiata con maestria; il calcio riportava dei bellissimi disegni tribali a motivi intricati e in rilievo.

    “Manca poco Kenta. Manca poco e io sarò in possesso di quell’arma. E tu – si girò di scatto – tu mi darai una mano ad ottenerla.”

    Kenta rabbrividì e una goccia di sudore freddo gli scese lungo la schiena, mentre una risata diabolica si propagava nella stanza.

    ***

    “Alza il gomito, fletti le gambe un po’ di più, inclina la testa, socchiudi l’occhio, gira il busto…”
    “…e tenta il suicidio. Jigen se giro ancora il busto mi spezzo perfettamente in due.” Aveva la voce straziata, ma anche un po’ divertita.
    “Hai ragione. Beh, spara come meglio credi. Però le gambe flettile ancora un pochi…”

    Dalla canna partirono tre colpi precisi che finirono tutti quanti sui bersagli in movimento. Yume si girò a guardare Jigen con aria di sfida e lui alzò gli occhi al cielo.

    “Ma quanto sono brava?!” disse lei saltellando per la stanza con in mano la pistola.
    “Sì, sei molto brava ma adesso rilassati, non sono colpi perfetti...” Rispose lui quasi sorridendo.

    Yume si mise seduta sulla sedia e posò la pistola sul tavolo. Si tolse l’elastico che le teneva raccolti i capelli e trasse un profondo sospiro. Jigen osservò compiaciuto l’operato della ragazza e sentì un misto di fierezza e nostalgia invadergli il petto mentre Yume prendeva un bottiglietta d’acqua e ne sorseggiava tranquilla il contenuto.

    “Tre mesi.” Disse improvvisamente lei guardando fissa l’etichetta del contenitore.
    “Uh?” Jigen sembrava non capire. Yume sorrise amara verso l’amico e ripose la bottiglia.
    “Sono tre mesi che ci conosciamo, cinque con Lupin. Ed io non ho fatto altro che tormentarvi.”
    “T.. tormentarci?” Il ragazzo continuava a capirci poco ma dopo un breve ragionamento capì cosa intendeva dire la ragazza. “Finiscila di essere così vittimista con te stessa.”

    Yume lo fissò stordita poi abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire uno sbuffo.

    “Sai, hai ragione. Però non potresti abbassare i toni quando mi dici certe cose?!”
    Jigen alzò un sopracciglio.
    “Se io smorzassi i toni mi nasconderei dietro una bugia, e a te non serve sentirne altre. Vuoi che ti dica che hai ragione e che la vita va sempre bene tranne che a te? Non sono una di quelle persone Yume.”

    La ragazza sentì gli occhi pizzicarle fastidiosamente. Avrebbe voluto rispondergli a tono, ma sapeva che Jigen aveva ragione su tutta, tutta, la linea. Guardò l’orologio e sospirò rassegnata.

    “Ho bisogno di cambiare aria. Ho davvero bisogno di qualcuno a cui donare una parte di me stessa. Ho bisogno di…”
    “Di cosa?” Quasi un soffio. La speranza, e il cuore che batteva all’impazzata.
    “Di un cucciolo.”

    Il ragazzo trattenne a stento una risata e si lasciò sfuggire un sorriso tirato.

    “Un cucciolo… Facciamo un patto. Prima impari a prenderti cura di te stessa e poi ti regalo un cucciolo.”

    Yume lo fissò sprezzante e annuì divertita poi, con molta calma, i due uscirono dal magazzino e Jigen accompagnò a casa la ragazza. Parcheggiò la macchina e dopo qualche altra chiacchiera prese il coraggio a quattro mani e parlò.

    “Senti, non è che ti va una sera di queste di venire a bere qualcosa con me? Certo da dire alla proprietaria di un pub è strano ma…” smorzò lì il discorso perché Yume gli aveva posato il dito medio sulle labbra, facendolo zittire. Si sporse un poco e gli diede un bacio sulla guancia poi uscì di corsa e si infilò in casa.

    -Lo prendo per un sì…-

    A casa, Lupin e Goemon chiacchieravano concitati. Per lo meno concitato era Lupin, il samurai si limitava a rispondere freddo e distaccato.

    “Ma insomma? Cosa gli piglia? Può essersi davvero interessato a una ragazza, seriamente?” diceva il ladro in giacca rossa camminando avanti e indietro.
    “Ma perché è strano?” Lupin lo fissò accigliato
    “Stiamo parlando della stessa persona, Goemon?”

    Il samurai fece spallucce e prese ad affilare la spada.

    “E poi chi è questa tipa?” continuò lui.
    “Ma siamo sicuri che sia una ragazza? E se si fosse trovato un hobbie?” Lupin si sedette sul divano e si prese la testa tra le mani.
    “Goemon, è una ragazza senza dubbio. Non hai visto che sguardo stralunato che ha?”
    “No.”
    “Dio, ma devi rispondere a tutte le mia domande retoriche?”
    “Sì.”

    In quel momento entrò Jigen.

    “Qualche problema?” disse lui richiudendo la porta.
    “No, nessunissimo problema…”
    “Ok. Probabilmente una sera di queste esco, non mi aspettate per cena.” E andò in camera sua.

    Goemon e Lupin si squadrarono.

    “Ragazza. Al 100%”
    ____

    Capitolo alquanto cortino, ma è per anticipare il prossimo, anzi i prossimi due, visto che sono due special a dir poco ENORMI! Commentate ragazzi, e grazie a quelli che già lo hanno fatto.
     
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  12. lupinjigengoemonfujicozazà
     
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    Accidenti che storia ma come hai fatto a realizzare tutto questo .........Da quanto ci lavori sù
    Certo che il talento nn ti manca.....
    Comunque ti auguro di saper sfruttare il tuo dono di scrittrice
    Per ora ti saluto ciao Gigi

    P.s a quando i prossimi 2??
     
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  13. Lupinthethird
     
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    Spero a breve.. Bellissimi, complimenti..
     
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  14. Rupan95
     
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    mamma mia!!!fantastici davvero, nn ho parole........aspetto i prossimi a questo punto..... :woot:
    :*zem:
     
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  15. _Shinami_
     
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    Capitolo 9 – Angel. Christmas special parte 1

    ___

    -Ma sì, forse è meglio così- Pensò Yume guardando tristemente i fiocchi di neve gelida posarsi sulla finestra del locale. Si destò dai suoi pensieri e ricominciò a pulire il lungo bancone compiendo grandi semicerchi con lo straccio.

    “Mi da una birra scura?” Una voce che interrompe, stancamente, quel movimento così monotono.
    “Arriva.” Si volta e prepara l’ordinazione, con gesti abitudinali. Mentre il grosso boccale si riempie la ragazza alza lo sguardo verso l’orologio.

    00.56


    -Bel 24 dicembre che mi sto facendo. E se solo penso che domani sto tutto il giorno qui mi viene da piangere. Ma in fondo stare insieme a quattro alcolizzati, serve a compatirsi pure durante le feste… No, avevo promesso a Jigen che la finivo di piangermi addosso.-

    “La birra mr.” Disse lei lanciando il boccale sul lungo bancone, appena lavato.
    “Grazie signorina.” Rispose l’uomo afferrandolo con un gesto fluido. Yume prese uno straccio pulito e prese ad asciugare un gran numero di bicchieri bagnati. Alzò lo sguardo verso la clientela. Nel locale, oltre a lei e l’uomo al bancone, c’erano cinque individui intenti a giocare a poker su un tavolo isolato e tre clienti solitari che sorseggiavano le loro ordinazioni. Dei camerieri non c’era traccia, Yume gli aveva dato il giorno libero, sapeva che il pub sarebbe rimasto pressoché deserto. Giusta premonizione.

    “Signorina me lo riempie ancora?” disse il nuovo arrivato porgendogli il boccale vuoto. Yume lo fissò stanca e prese il grosso bicchiere, ma stavolta lo mise sotto il rubinetto e lo riempì d’acqua. L’uomo la fissò confuso quando lei gli ridiede il boccale colmo di liquido cristallino ma fece un’alzata di spalle e sorridendo prese a berlo come se niente fosse.

    La ragazza si accucciò sotto il bancone e ne tirò fuori uno scatolone pieno di dischi e dopo aver cercato un po’ tirò fuori un CD e lo infilò nello stereo, sostituendolo al motivo blues che girava già da un po’.

    -Last Christmas, I gave you my hearth, but the very next day, you gave it away…-

    Immediatamente tutte le teste del bar si voltarono a fissarla severa.

    “Oh! Scusate se faccio entrare un po’ di clima natalizio nel mio locale!” disse lei sventolando lo straccio minacciosa. Tutti tornarono immediatamente alle loro occupazioni e non obbiettarono.

    L’uomo seduto al bancone sorrise e alzò la falda del cappello che indossava sulla testa.

    “Lo sa, lei è davvero una ragazza curiosa.” Yume alzò gli occhi al cielo.
    “Oggi non sono in vena di battute e nemmeno di cascamorti.” L’uomo si affrettò ad agitare le mani in avanti, sempre sorridendo. La ragazza lo guardò meglio. Aveva il volto stanco, ricco di rughe e lineamenti severi, i capelli corti e bianchi uscivano a piccole ciocche da sotto il cappello. Gli occhi erano di un verde tendente al giallo e portava un paio di occhiali con la montatura di corno, di taglio classico.

    “Non erano quelle le mie intenzioni, volevo solo parlare un po’. A Natale ci si sente tristi se non si ha nessuno con cui condividere gioie e dolori.” Disse lui poggiando il viso sulla mano.
    “Già.- rispose Yume che, notando che l’uomo aveva uno sguardo davvero molto buono, prese il bicchiere e glielo riempì di birra- Tenga, offre la casa. Lo prenda come un regalo di Natale.”
    “Allora. Non oso rifiutare. Mi dispiace solo non poterle restituire il favore.- Rispose lui prendendo il boccale. – E lei non prende niente?”
    “Ho finito i succhi di frutta due ore fa.” Disse la ragazza con naturalezza e l’uomo non poté far a meno di sorridere ancora.

    “Quale è il suo nome miss?” chiese lui.
    “Yumeki. Yume per gli amici.”
    “Nella nostra lingua significa sogno. È un bellissimo nome miss.”

    Sorseggiò un po’ la birra e lei gli si sedette di fronte tirando fuori ancora una volta i dischi, mettendo a posto quelli che non erano nella custodia.

    “Allora, cosa l’ha spinta a venire al Moonlight Shadow stasera?” disse la ragazza riponendo un CD dei Beatles nel cofanetto.
    “Diciamo che… non ho nessuno con cui trascorrere una serata decente da un bel po’ di tempo. E lei miss? Non ha nessuno neanche lei?” Yume lo fissò divertita.
    “Cosa glielo fa pensare? Potrebbe essere che sono una dipendente che non può perdere un giorno di lavoro per tirare avanti.” L’uomo fece una scrollata di spalle.

    “Non so, forse la foto di quel giovanotto appesa dietro di lei che lei ogni tanto fissa con aria malinconica. Oppure il fatto che non porta la fede al dito. E poi non credo che lei sia una dipendente. Questo posto è suo, e dai vestiti che indossa posso dedurre che i soldi non le mancano. Vuole che continuo ad elencare?”
    “No, per carità. Mi basta questo.” Disse lei prendendo un bicchiere d’acqua e fissando l’uomo. Inevitabilmente l’occhio gli andò sulla mano sinistra.

    “Beh, mr. Lei la fede ce l’ha.”
    “Touche. Comunque mia moglie se ne è andata molto tempo fa. E quando dico andata intendo scappata, con un’altra donna.” Sorrise, stavolta malinconico. Yume si sentì un po’ in colpa e sorseggiò ancora un po’ d’acqua.

    “Miss, perché non si è presa una giornata libera?” disse l’uomo.
    -Perché mi piace crogiolarmi nel mio dolore.- pensò lei amara ma non gli diede quella risposta.
    “Perché non ho nessuno con cui passare un Natale decente.”
    “Ne è proprio sicura, miss?”

    In quel momento la porta si aprì e spuntò Jigen che cercò con lo sguardo Yume e andò verso il bancone mentre lei lo fissava attonito, seguita dall’uomo di fronte a lei, che sorrideva sornione.
    “Non ci posso credere che in pieno Natale una debba lavorare così.” Disse Daisuke sedendosi affianco all’uomo sorridente. Yume fece cenno al vecchio di aspettare un attimo e rivolse la sua attenzione e Jigen.
    “Non ho niente di meglio da fare caro mio.” Rispose lei prendendo un bicchiere.
    “Oh sì che ce l’hai. Sono qui per invitarti da noi a passare questo freddissimo Natale. Ordini di Lupin e, sinceramente, idea mia.”

    A Yume si illuminarono gli occhi e Jigen colse quella reazione con piacere.

    “E… e quando posso venire?”
    “Anche subito se vuoi. Ma credo che tu voglia farti prima una dormita!”
    “Va bene se vengo verso le 14.00 così vi do anche una mando a preparare il cenone? E poi a casa ci sarei dovuta passare lo stesso visto che devo prendere i vostri regali.”

    Jigen sorrise e Yume con fare severo ordinò:
    “Siore e Siori, a tutti voi in sala, vi comunico che oggi si posticipa la chiusura a… ora. Prego pagate e uscite. Buon Natale dalla Moonlight Airlines!”
    Urla e commenti di disapprovazione si levarono dai tavoli ma Yume, caparbia, non cambiò idea. La ragazza si voltò verso il vecchio per ringraziarlo ma il suo sorriso si trasformò immediatamente in stupore. La sedia era vuota.

    “Jigen, hai visto dove è andato l’uomo seduto al bancone?”
    “Yume, non c’era nessuno quando sono entrato. Per lo meno nessuno oltre te e quelli seduti ai tavoli.”

    La ragazza scosse la testa ma decise di non insistere.

    -Mr, senza saperlo lei mi ha fatto il più bel regalo di Natale.-

    Poco dopo, quando il locale si era svuotato, afferrò il cappotto e la borsa e uscì. Non seppe il motivo, forse perché era ubriaca di gioia, ma si sporse fino al braccio di Jigen e gli strinse la mano. Il ragazzo fece finta di niente ma non poté negare il calore che gli invadeva il petto a poco a poco.

    Intanto, dal vicolo dietro il pub, un vecchio stanco sorrideva guardando i due allontanarsi.

    -Buon Natale miss- e, facendo qualche passo, si sciolse tra i fiocchi di neve che scendevano lenti.


    End part 1


    ____

    Note:
    -Si consiglia l’ascolto di una canzone natalizia di sottofondo, come quella presente nel testo, che è Last Christmas di George Micheal.
    -L’angelo, è la copia spiccicata del mio prof di tecnica delle medie. Mi manca tanto. Grazie di tutto.
    -Yume in giapponese significa sogno. Yumeki sogno di aria. Ki= aria. È un nome studiato, perché rappresenta il carattere di Yume, che vorrebbe una vita normale e ha bisogno di respirare, di aria.
    -Miss, è una cosa che mi piaceva.

    ____

    Questo è un capitolo che scrissi sotto Natale, ecoo perchè è così sdlocinato zuccheroso e... Natalizio! Beh, che dire, commentate! XD

    SI RINGRAZIANO I LETTORI E CHI HA LASCIATO UNA RECENSIONE! RAGAZZI, è UFFICIALE, VI ADORO! XD
     
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