Crystal Gun - fanfiction su Lupin

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. ZioScuffio
     
    .

    User deleted


    Solo ora sono riuscito a finire fino a qua... che dire, bellissimo. Adoro Yume e la sua evoluzione nel tempo, ed adoro Jigen che vedo in un lato mai visto... se ti potessi vedere ti darei un abbraccio! XD ma voglio sapere come finisce :P
     
    Top
    .
  2. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 10– Soreja ienakute nando mo naiteru. Christmas special parte 2
    ___

    “È permesso qui?”
    “Ciao Yume! Ti stavamo aspettando!”

    La ragazza entrò nella stanza tenendo tra le mani un numero imprecisato di pacchetti di Natale colorati e pieni di nastri luccicanti.

    “Scusate il ritardo ma sono dovuta andare a preparare un regalo dell’ultimo minuto. Qualcuno si era scordato di dirmi che stasera c’era anche Fujiko.” Disse la ragazza guardando con la bocca storta Jigen che, per tutta risposta, sorrise dal divano dove si trovava e si abbassò il cappello ancora di più sulla testa. “A proposito dove è?”
    “È di là insieme a Goemon, stanno cercando di farcire il tacchino da almeno un’ora.” Rispose Lupin imitando il gesto di ficcare qualcosa con forza in un buco invisibile.
    “Tacchino? E da quando in qua a Natale in Giappone si mangia il tacchino?” disse lei poggiando i pacchetti sotto l’albero all’ingresso.
    “Sinceramente siamo più legati alle tradizioni dei nostri paesi: America, Francia… Italia! Goemon ha detto che si farà della soba*, come al solito…”

    Yume si tolse il cappotto pesante che aveva addosso e si scrollò qualche fiocco di neve dal cappellino. Prese una grossa busta e si diresse verso la cucina seguita a ruota da Jigen e Lupin.

    “Attenta a quello che le dici.” Le sussurrò in un orecchio Daisuke. La ragazza entrò nell’ampia cucina dove regnava il caos ma comunque c’era un buonissimo odore di cucinato. Immediatamente due teste si girarono verso di lei e fu costretta ad abbozzare un leggero sorriso. Fujiko Mine le era stata descritta come una bella donna, ma non pensava fino a quel punto.
    Due occhi castani e vivaci la penetravano per studiarla, i capelli ramati scendevano sulle spalle e il corpo, a dir poco perfetto, era fasciato da un vestito nero e attillato che copriva lo stretto indispensabile.

    “E così questa è la famigerata Yume.- disse lei avvicinandosi- Ho sentito molto parlare di te ma spero che quello che mi abbiano detto non sia deludente come immagino.”

    Yume si riscosse da quella sindrome di impotenza fisica che le aveva procurato Fujiko e quando ebbe realizzato le parole della ragazza andò verso Goemon e gli diede la busta che teneva in mano.

    “Questa va in frigo. Attento o si stacca l’angolo destro della torta, quando ho tirato fuori il pan di spagna dal forno mi si è rotto proprio lì.” Poi si girò verso la Mine e gli tese la mano sorridendo gentile.
    “Avrai modo di ricrederti.” E la dea chiamata Fujiko le strinse la mano. “Allora, mi hanno detto che avete problemi con il tacchino?”

    Jigen e Lupin sorrisero nel vedere come i tre si davano da fare per preparare un pasto decente e, quando alla fine si misero a tavola, mangiarono a sazietà. Yume e Fujiko, che fino a poco prima avevano litigato su come farcire i voul a vent, ora si ritrovavano sul divano a parlare tranquille come se si conoscessero da una vita.

    “Ehi, ma lo sai che vi ci vedo insieme a voi due! Sarebbe ora che te la trovi una donna seria eh Jigen!” disse improvvisamente Fujiko.
    “Ma tu non avevi niente di meglio da fare stasera?” gli rispose a tono il pistolero e Lupin rise sguaiatamente. Yume fissò sorridente l’orologio, poi sospirò e andò sotto l’albero a prendere i pacchetti.

    “Allora, questi sono per voi. Buon Natale ragazzi.” E diede ad ognuno il proprio regalo.

    Fujiko, visto che il suo pacco era il più piccolo, lo aprì subito.

    “Cos’è? Un rossetto?” disse osservando il contenitore meccanico.
    “Più o meno. Ruotando la parte sottostante appariranno diverse scritte. Ognuna corrisponde ad una voce diversa. Poi basta indossarlo e… prova!”

    Fujiko girò fino a che non trovò la scritta Lupin e si mise il rossetto. Poi provò ad articolare qualche parola ma la voce che ne usciva apparteneva proprio ad Arsenio.

    “Uao è fantastico! Vediamo il mio!- disse il ladro che scartò con veemenza il pacchetto.- Un orologio?”
    “Non un semplice orologio. Basta spingere il pulsante al lato del quadrante e avrai un vero e proprio computer sul polso.”
    “Grande… sei un mito! Jigen apri il tuo!” disse Lupin provando a saltare sulle gambe dell’amico che prontamente si alzò dalla sedia e fece cadere Arsenio per terra.

    “Ben ti sta.-disse lui aprendo il pacchetto- Oook, questo è uno zippo. Ma non ci credo che è uno zippo semplice…”
    “Infatti, come per Lupin, è un mini PC, con qualche funzione in più.”
    “E cioè?” chiese Lupin massaggiandosi il sedere dolorante.
    “Cioè questo ha una piccola fiamma ossidrica oltre che a quella normale. Ti piace?” disse allora lei rivolta a Jigen.

    “Oh sì, mi piace. Grazie Yume. Ehi Goemon, a te cosa ha regalato?”
    Il samurai mostrò una scatola dove all’interno c’era un piccolo kit di manutenzione per armi bianche, indirizzato soprattutto per spade e armi dalla lama affilata.
    “È utilissimo. Grazie.”

    “Oh, come sono contenta che vi piacciano.”
    “Lupiiiiiiiiiiiiiin!” A parlare era stata la voce di Zenigata e il ladro si alzò di scatto finché non vide Fujiko che si rotolava per terra dalle risate. Aveva usato il rossetto appena regalatole e a, quanto poteva vedere, lo scherzo aveva avuto i suoi effetti.

    “Beh, si è fatto tardi. Io dovrei andare a casa.” Disse Yume ridacchiando.
    “Ma come cheri, te ne vai senza aver prima aperto il tuo regalo?” disse Lupin porgendole un pacchetto abbastanza grande e la ragazza lo fissò dapprima confusa, poi, dopo aver spostato lo sguardo sugli altri, scoperchiò la scatola e ne venne fuori la testina di un piccolo gattino bianco come la neve e gli occhi verdi come i prati d’estate. Lei lo prese in braccio e lo strinse forte.
    “Ciao piccolo! Come sei dolce.” Lei osservò sorridente il cucciolo. Poi spostò lo sguardo verso Jigen che, facendo finta di niente, si era messo a guardare la televisione dando le spalle alla ragazza.
    -Grazie Jigen, Grazie di cuore- pensò lei e poi aggiunse ad alta voce.
    “Credo che ti chiamerò JD.” E si alzò per dare un bacio a tutti e ringraziarli della bella serata poi arrivata a Jigen si fermò e sorrise, muovendo le labbra il un grazie silenzioso. “Mi accompagni a casa?”

    “Sì. Prendo le chiavi.” Disse lui afferrando il giaccone.
    “Yume- disse Lupin- Che ne dici se per l’ultimo dell’anno torni qui?”
    “Non mi andrebbe di disturbare…”
    “Tu non disturbi mai. Basta che rifai quella torta spettacolare che ci siamo finiti.”
    “Ok… ok. Notte ragazzi” e così dicendo uscì dalla porta seguita da Jigen.

    Fujiko guardò Lupin sorridendo.

    “Però, simpatica quella Yume.” Disse la bellissima ragazza giapponese incrociando le braccia al petto.
    “Già, te lo dicevo io.”
    “Scommetto un po’ di yen che quei due finiscono con il mettersi insieme.” Sospirò lei mentre afferrava qualche piatto per sparecchiare.
    “Non lo so, te l’ho raccontate le sue vicende no? Ho i miei forti dubbi sul fatto che Jigen possa scioglierle il cuore. In molti ci hanno provato prima di lui. E poi lo sai come vanno a finire tutte le sue storie. Immancabilmente le ragazze muoiono.”
    “Sembra una maledizione se la metti su questo piano.- Disse Goemon alle sue spalle. -E poi avrà avuto al massimo due storie importanti. Tre, per dire tanto e non tutte sono finite in strage..”
    “Dì un po’, da quando ti interessi di amore tu Goemon?” disse Lupin fissando storto il samurai che per tutta risposta avvampò e prese a lucidare la lama della zantetsu-ken con il kit appena regalatogli da Yume.

    ***

    31 dicembre. Cena. Saluti. Champagne per chi beve e coca cola per chi non lo fa. Bambini urlanti, adulti sorridenti, vecchi stanchi. Botti, fuochi d’artificio, casino, gente. Persone che finiranno in ospedale, gente che muore, che vive, che sopravvive.

    E poi c’è gente che rinasce.

    Yume non reggeva l’alcol. Sapeva benissimo di essere astemia ma quella sera decise di potersi permettere anche il quarto bicchiere di rhum e cola.
    “Non starai esagerando?” chiese Jigen sorseggiando il suo bourbon come se niente fosse, abituato a bere.
    “Io? Pfu! Ma io l’alcol lo reggo benissimo!” e rise sguaiatamente mentre il ragazzo alzava gli occhi al cielo. Era abituato a vederla composta e seria ma quella nottata era tutto andato diversamente da come si sarebbe aspettato. Dopo la cena al covo Yume gli aveva chiesto, quasi con insistenza, di uscire e di andare in qualche locale e lui senza farselo ripetere aveva accettato. Dopo una veloce scappata a casa di lei se l’era vista arrivare incontro con un vestito molto meno sobrio di quello che era solita indossare. Da quando erano entrati nel locale aveva cominciato a bere e a parlare con scioltezza attirando su di se gli sguardi della fauna maschile di metà locale.

    Yume prese in mano il bicchiere e si scolò il contenuto ambrato in un solo sorso, schioccando le labbra soddisfatta. Stava per fare il quinto giro quando Jigen la bloccò e pagò il conto al barman.

    “Ma perché, uffa! Io ho solo voglia di divertirmi!”
    “Credo che per stanotte tu ti sia divertita abbastanza. Adesso ti accompagno a casa.”

    Un uomo gli si parò davanti e con sguardo minaccioso lo fissò con aria di sfida.

    “Ehi, hai sentito la bambola? Lei vuole rimanere qui a divertirsi. Vero?” Yume annuì con convinzione e guardò Jigen con gli occhi un po’ annebbiati dall’alcol. Il ragazzo sopirò.
    “Dai Yume. Non mi va di doverti portare fuori per forza.”

    L’uomo appena arrivato gli puntò un dito contro.

    “Ehi, tu, hai capito o no? La ragazza vuole restare qui con noi!”
    “Non credo che la ragazza in questo momento sia capace di intendere e di volere, perciò ora la porto fuori da qui. Non mi costringere ad usare le maniere forti.” E scostò la giacca quel tanto che bastava a fargli vedere il calcio della pistola. L’uomo alzò le mani in segno di resa, sospirando ma mantenendo lo sguardo beffardo, e si allontanò senza insistere ulteriormente.

    “Peccato era un tipo simpatico.” Jigen la guardò con un misto di pietà e compassione. Le afferrò una mano e la tirò fuori dal locale. Arrivati alla macchina Yume salì con riluttanza e si sedette scompostamente sul sedile. Lui girò le chiavi e mise in moto. Dopo un po’ di tempo Yume si accomodò in modo più composto e sussurrò timidamente le parole più inaspettate.

    “Jigen?”
    “Mh?”
    “Grazie, per prima intendo.”
    “Umpf, ringraziarmi non serve a nulla.”

    Era notte fonda, i botti andavano diminuendo, ma i viali deserti erano un richiamo troppo forte per la ragazza che, con la mente annebbiata dall’alcol, si rese conto di quanto fosse stupida.

    “Ti va di fare quattro passi?” Jigen la guardò dubbioso. Era pur sempre ubriaca anche se un po’ più lucida ma decise di assecondare ugualmente quella richiesta. Parcheggiò e lei scese quasi correndo fino al lungo viale del parco, dove il terreno ghiacciato e gli alti alberi innevati davano al panorama un aspetto bianco e triste. Jigen si accese una sigaretta e affrettò il passo per raggiungerla. Lei si voltò e lo attese poi presero a camminare l’uno affianco all’altro, mentre un silenzio tombale, segno che i festeggiamenti del capodanno volgevano al termine, si faceva l’argo nel parco

    “Sai Daisuke, non mi sento molto bene.” Disse lei sbattendo gli occhi.
    “Credo che tu sia ubriaca Yume.”
    “Sì, lo credo anche io.” Si lasciò andare ad un sorriso forzato, perché sapeva di aver sbagliato, sapeva che Jigen sarebbe stata l’unica persona che l’avrebbe seguita in quella folle avventura, e sapeva che l’avrebbe provata a tirarla fuori dal pasticcio in cui si era cacciata. Aveva abusato di lui, della sua gentilezza e del suo modo di essere e si sentì male, come mai in vita sua. Un conato di vomito la costrinse a fermarsi ma si riscosse subito.

    “Perché lo hai fatto?” chiese lui improvvisamente.
    “Cosa?”
    “Bere così sapendo di essere astemia.” La ragazza alzò le spalle.
    “Sai come si dice. Si beve per dimenticare.”
    “Per quanto vuoi continuare a farlo Yume? Dimenticare?”

    La ragazza si sentì pugnalare da quelle parole. Una lama fredda che le passava la mente con ferocia.
    “Non ne hai il diritto…”
    “Di cosa?”
    “Di intrometterti della mia vita!” Yume alzò la voce.

    “Già, nessuno ha il diritto di fare qualcosa con te. Tu sei ancora legata ad un ricordo.” Nonostante tutto, Jigen cercava di mantenere la calma anche se, senza rendersene conto, aveva alzato la voce anche lui.
    “Non mi guardare con quegli occhi Jigen. Leggo compassione ed è l’ultima cosa che mi serve in questo momento.”
    “Ma ti senti quando parli Yume? Ha intenzione di vivere tutta la tua vita così?”
    “Ma cosa ne vuoi sapere tu della mia vita?”
    “È proprio questo il punto! Nessuno sa niente della tua vita visto che tu ti rinchiudi in te stessa e non ti accorgi nemmeno… non ti accorgi…” non gli lasciò finire la frase. Sentì lacrime amare pizzicarle gli occhi.

    “Ma hai la minima idea di cosa sia la mia vita? Lo sai? Lo sapete tutti quanti? Io sono stata costretta contro la mia volontà a riaprire un pub che si sta sgretolando sotto i miei stessi occhi. Costretta a mascherarmi con falsi sorrisi per far sentire meglio le persone che mi stavano intorno anche se la prima a stare male sono stata io. Costretta a rimediare ai casini che il mio defunto fidanzato aveva combinato per mantenerci.”

    Le parole le uscirono dalla bocca come un fiume in piena e non seppe dire se per il fatto che fosse ubriaca o se avesse voglia di parlare da troppo tempo con qualcuno. E poi disse quella cosa che si teneva dentro come un fardello pesante e ingombrante.

    “Io odio Nobuo. Lo odio con tutta me stessa. Sì, odio la persona che ho amato per tanto tempo… e probabilmente la persona che mi ha rovinato la vita.”

    Jigen fissò attonito e muto quelle pozze azzurre che lo fissavano severe.

    “Mi ha abbandonata mentre eravamo nei casini. Mentre il governo mi era alle calcagna e i debiti si accumulavano. Si diede allo spaccio di droga, poi a quello di armi, pur sapendo che circa tre stati mi stavano cercando e il mio solo desiderio era vivere una vita tranquilla con lui. Se prima il nostro era amore… stava diventando una convivenza forzata; non sapevo vivere da sola, non lo so fare tutt’ora. E lui lo sapeva. Quel giorno tornai prima a casa dal lavoro e… trovai lui che si rotolava nel letto con una ragazza qualunque. Una appena conosciuta. Corsi alla porta e mi urlò che mi amava. Lo odiai, lo odio. E poi se ne è andato definitivamente.

    Lo amavo ancora, sì. Ma il tempo e il rancore hanno trasformato tutto. Sono debole. Sono… una debole. Non so vivere senza appoggiarmi a qualcuno. E mi sentii così sola e amara. Mi sento così sola certe volte. Ma il mondo questo non lo sa vero Jigen? Hai idea di quante volte ho afferrato una pistola e me la sono puntata alla testa? Ho perso il conto di quante volte l’ho fatto… e non ho avuto il coraggio di premere quel cazzo di grilletto? La verità Jigen?- Urlò, con quanto fiato aveva in corpo- La verità è che sono solo una stupida codarda vittimista.”

    Violenti singulti le fecero sobbalzare le spalle ritmicamente. Il trucco ormai era colato in due strisce nere lungo il viso e le lacrime, tonde e lucenti, uscivano senza sosta. Quasi non si accorse di quello che succedeva finché non sentì il calore della camicia di Jigen sul viso e le braccia di lui che la stringevano. Si aggrappò al tessuto della giacca sulla schiena dell’uomo e nascose il viso nei vestiti che odoravano di pulito, piangendo senza ritegno. Macchiò la camicia di lacrime e trucco e ancora singhiozzando ebbe il coraggio di alzare lo sguardo verso di lui. Incontrò i suoi occhi, sinceri e comprensivi, e vi lesse qualcosa che non seppe decifrare. Dispiacere, paura forse.

    Jigen gettò la sigaretta a terra e riprese ad abbracciare la ragazza, abbandonandosi a quel calore che tanto aveva sognato, anche se in una situazione diversa. Yume avvertiva la barba dell’uomo solleticarle la testa mentre rimanevano così e aspirò a fondo quell’odore di sigaretta e profumo che emanavano i vestiti di Jigen. Finì di piangere dopo parecchio ma non si mosse di un solo centimetro da quella posizione. Si sentiva protetta come mai in vita sua. Parlò dopo qualche minuto.

    “Scusa, per averti risposto così.”
    “No, scusami tu. Non ne avevo il diritto, avevi ragione tu.”
    “Non so più nemmeno io dove ho ragione e dove ho torto.”

    Altro silenzio, cullato dal vento.

    “Posso fare una cosa?”
    “Cosa?” chiese piano lui.
    “Una cosa che attribuirò all’alcol ma dubito che sia colpa del rhum.”

    Alzò il viso verso Jigen e si issò un po’ sulla punta dei piedi per raggiungere le labbra dell’uomo che accolsero quel bacio inaspettato con piacere. Un bacio lento e pacato, tra la neve. Che sapeva di sigaretta per una e di rhum e cola per l’altro. Si divisero e lei mormorò uan frase semplice.

    “Grazie, di tutto quello che hai fatto per me.”
    “Io non ho fatto nulla.”
    “Sì certo. E io non ti ho appena baciato. Davvero, grazie. Mi sento così… sicura qui.”
    Sciolsero l’abbraccio e si incamminarono verso la macchina. Non parlarono durante il viaggio, anche perché Yume si sentiva stanca, emozionata e seriamente confusa. Jigen la accompagnò sotto casa e lei si girò a guardarlo.

    “Vuoi salire?” le era venuto così spontanea quella domanda che quasi stupì. Ma poi capì che aveva bisogno della presenza di Jigen vicino a lei. Era l’unico che la rassicurava.
    “Se io salissi sarebbe un abuso Yume, anche se non sai quanto avrei voglia di venire su con te. E poi sei ubriaca e hai bisogno di dormire. Ora vai, per qualsiasi cosa sai dove trovarmi.”

    Yume annuì serena e scese constatando che Jigen aveva ragione su tutta la linea. Si voltò e lo guardò attraverso il finestrino. Riaprì la portiera e si rinfilò dentro per baciarlo ancora. Quando si divisero lui disse:
    “Domattina vengo a vedere come stai. Dormi bene.” E finalmente mise in moto la macchia e ripartì verso il rifugio. Yume lo vide allontanarsi e quando entrò in casa fece appena in tempo ad infilarsi il pigiama che crollò esausta nel letto. Si strinse nelle coperte ed immaginò che fossero le braccia di Jigen. Potè persino rievocare nella testa il suo odore e si addormentò serena, ma con un forte mal di testa.

    Intanto Jigen, che era tornato a casa, si era dovuto subire il terzo grado da Lupin finché non gli aveva scucito dalla bocca ogni parola, tralasciando la maggior parte della storia di Yume. Andò al letto e si chiuse a doppia mandata nella sua stanza, stufo dell’interrogatorio.

    Lupin fece spallucce e pregò Dio che nessuna maledizione si abbattesse sulla povera ragazza.
    __

    Annotazioni post capitolo e siete pregati di leggerle:
    La verità? La prima parte non mi piace per niente, la seconda sì, me gusta mucho XD. Il dialogo di Yume è pieno di ripetizioni e sgrammaticature perché volevo rendere bene la confusione della ragazza. Il primo bacio poi, beh, era diverso, perché io me l’ero immaginato su una spiaggia in estate ma, per esigenze di copione ho dovuto cambiare un po’ tutto. Spero che abbiate gradito e ringrazio i recensori.

    La traduzione del titolo è: Non riesco a dirti addio ed ho pianto molte volte.
     
    Top
    .
  3. ZioScuffio
     
    .

    User deleted


    <applausi>
    scrivo solo questo perchè non ho parole per descrivere bene :D
     
    Top
    .
  4. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    sempre belle le tue recensioni Samuè! XD
     
    Top
    .
  5. ZioScuffio
     
    .

    User deleted


    sintetiche, nevvero XD
     
    Top
    .
  6. Tania the lion
     
    .

    User deleted


    Me la son letta tutto dun fiato solo ora questa storia (dato che son nuova), mi piace troppoooooooo!
    WONDERFUL!
    Complimenti, sei un talento nella scrittura, quando leggevo riuscivo a vedermele davanti tutte le scene.
    Dai continua a scriverla, vorrei il prossimo capitolo!
    Capitolo 11! Capitolo 11! Un-di-ci! Un-di-ci! Un-......(tifo da stadio)

    P.S. Fa pure con calma, scrivila quando vuoi


    Edited by Tania the lion - 26/7/2009, 13:08
     
    Top
    .
  7. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 11– il post sbornia
    ____

    Una citofonata prepotente fece sussultare la povera ragazza sdraiata nel letto che si alzò, con non poca fatica, e cercò a testoni il citofono sulla parete.

    “Sì?” disse con la voce impastata di sonno.
    “Yume sono Jigen. Ti ho svegliata?”
    “No Jigen. Sono semplicemente rincoglionita. Sali solo se prometti di non ridere però.”
    “Ok.”

    E uno scatto metallico diede segno che la porta era stata aperta. Era la prima volta che Jigen saliva a casa di Yume ma l’unica cosa che gli importava in quel momento era scoprire come stava la ragazza. Si trovò davanti l’uscio e spinse leggermente il battente di legno per entrarvi. La prima cosa che si poteva notare era il gusto dell’arredamento: mobili antichi, probabilmente pagati un occhio dalla testa, rifiniti con disegni fatti a mano rappresentanti fiori e piante. Poi, sulla destra tre chitarre, ognuna di qualità diversa, erano appoggiate al muro con pesanti ganci. L’ambiente era grande e molto illuminato, anche se le finestre sembravano essere state aperte da poco.

    “Yume?”
    “Sono, ahia, in camera da letto. Santissimo… vai dritto e poi a destra.”

    Seguì le istruzioni della voce e si ritrovò davanti Yume, in tuta, che sdraiata sul letto appena fatto si reggeva con la mano una borsa di acqua calda sulla testa.

    “Male eh?” chiese lui mettendosi le mani in tasca. La ragazza si tirò giù dalla fronte la sacca che rivelò un bernoccolo tondo e rosato. Jigen sorrise divertito e si appoggiò allo stipite della porta.

    “E quello?” chiese lui indicando il bozzo sulla testa.
    “Uffa, avevi promesso di non ridere!”sbottò lei assumendo un espressione infastidita.
    “Non sto ridendo, sto sorridendo cara, il che è totalmente differente.”
    “Quando hai finito di prendere per il culo vieni qui così te lo racconto?” disse lei battendo una mano sul grosso letto intimandogli di sederle vicino.

    “Stanotte- cominciò lei- mi sono alzata per vomitare, Dio solo sa se ci ricasco ad ubriacarmi così, e senza rendermene conto mentre mi rialzavo sono scivolata sul tappeto del bagno ed ho battuto la testa al lavandino.” Raccontò brevemente Yume.
    “Notevole. Nemmeno dopo la mia prima sbornia ho fatto una cosa del genere…” ammise lui.
    “Simpatico il ragazzo. Sta di fatto che ora oltre al dolore da sbornia ho anche il dolore dal bernoccolo.”

    Jigen sorrise dolcemente e si chinò ad esaminare la ferita.

    “Per quello hai già fatto abbastanza. Hai della camomilla? Aiuta con il mal di testa.”
    “Ce ne dovrebbe essere di solubile nella dispensa in cucina.” Disse lei corrugando la fronte
    “Vado a preparartela, non ti muovere.”
    “Guarda che se era una battuta era davvero di pessimo gusto.” Riuscì a biascicare mentre lui si allontanava verso l’altra stanza. Tornò dopo poco con il bicchiere in mano e, aiutando Yume a mettersi seduta sul letto, gli passò il bicchiere che la ragazza bevve tranquillamente. Posò il contenitore sul comodino.

    “Beh? Entri in casa mia senza invito e nemmeno mi saluti?” disse lei sorridendo beffarda. Lui si avvicinò pericolosamente al viso della ragazza e si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra.
    “Ciao Yume.” Soffiò piano. La ragazza tramutò l’espressione in qualcosa di indiscutibilmente dolce e ultimò quei pochi centimetri di distanza che mancavano, ma non osò sforzarsi più di tanto perché il dolore alla testa stava diventando davvero insopportabile. Si staccò dalle labbra di Jigen quasi con violenza e per un attimo il ragazzo la fissò turbato, tranquillizzandosi subito dopo quando lei gli sorrise comprensiva.

    “Scusa, è solo che non riesco nemmeno a muovermi o pensare. Mi fa troppo male la testa.”
    “Sì, capisco.”

    Rimasero lì, a chiacchierare sdraiati sul letto finché un batuffolo bianco non saltò in mezzo a loro due accoccolandosi sulla pancia di Yume.

    “Ciao piccolo JD.” Disse lei facendogli una carezza sulla testolina che venne immediatamente ricompensata con un miagolio di approvazione.
    “Per quale motivo gli hai dato un nome in lettere?” chiese il ragazzo grattando l’orecchia del gattino.
    “Perché Jigen Daisuke era troppo lungo.” Ammise lei e l’uomo di trovò un po’ spiazzato davanti a quella risposta ma l’accettò bel volentieri. Yume si sporse per afferrare JD ma in quel momento un gorgoglio la fece fermare a metà della strada.

    “Era il tuo stomaco?” chiese Jigen scoppiando a ridere.
    “Io, di grazia, ho vomitato tutto quello che ho mangiato ieri sera…” rispose lei sarcastica mettendosi una mano sulla pancia che gorgogliava prepotentemente.

    E così i due si misero a tavola, mentre Yume, prendendo il suo secondo Moment, si rese conto che il dolore alla testa era sparito.

    “Sai- disse Jigen addentando una mela- credevo che le cose successe ieri sera fossero solo colpa della sbornia.”
    “Se, come no- rispose lei togliendo la buccia a un mandarino- e io mi chiamo ancora Angelica.” Poi si pentì di quello che aveva detto e si infilò uno spicchio dell’agrume in bocca per zittire quella maledetta lingua. Jigen colse il movimento e sorrise sornione. Angelica, così era questo il suo vecchio nome, quello della sua vita precedente… anche lui aveva un identità diversa prima. In un attimo gli affiorarono nella testa un mare di ricordi, inutili e dolorosi per ceti versi.

    “Tutto bene Jigen?” chiese lei aggrottando le sopracciglia e il ragazzo per rispondere fece un cenno con la testa sicuro.

    “Yume?”
    “Dimmi…”
    “Quello che mi hai detto ieri sera è tutto vero? Insomma, di Nobuo e della tua storia, di come ti sei messa a vendere armi e…” soffermò lì il discorso, in attesa di un segnale della ragazza che per tutta risposta sospirò e avvicinò la sedia a quella dove era posato lui.

    “Tutto vero, dalla A alla Z. Una storia strana e triste. E poi, insomma, io Nobuo non lo voglio nemmeno sentire nominare. Mi sono stufata di vedere tutti quegli occhi compassionevoli che mi scrutano. Basta Jigen. Ora è il momento di darsi uno schiaffo bello forte in faccia e rendersi conto che la vita non è così male se c’è qualcuno con cui…” non poté finire perché il ragazzo le aveva afferrato il viso e l’aveva baciata con passione.

    Yume sentiva nella sua testa dei cori da stadio che urlavano:
    -Forza Yume alè alè-

    In un attimo non ci fu più niente. Quando riaprì gli occhi era sotto le lenzuola stretta tra le braccia di un uomo diverso da Nobuo e non se ne pentì per niente. Si accoccolò sul petto di Jigen, mentre lui gli carezzava la spalla nuda ritmicamente.



    “Non te ne andare Daisuke. Non te ne andare.” Disse lei incrociando la mano con la sua.
    “Non lo farò. E ora dormi. Rimango qui con te finché non ti addormenti.”

    Sorrise soddisfatta da quella risposta e chiuse gli occhi abbandonandosi a quel tocco.

    _____

    Angoletto autrice, e coma al solito siete pregati, anzi obbligati, a leggerlo.

    Questo capitolo fa schifo, schifissimo. Perché è cortissimo e perché è troppo sdolcinato e sgrammaticato. Mi sono resa conto che non trasmette nessuna emozione. Però, per dovute esigenze, è venuto fuori così. Vi starete chiedendo: “Ma Yume è una che va a finire al letto con uno subito?”

    La risposta è, Sì, Per il semplice motivo che si conoscono da circa 5 mesi, perché Jigen è un provocatore nato e Yume è la persona più stupida e masochista di questa terra. L’ho sempre pensato U_U.

    Sì, Yume è stupida, si fida delle gente ed è un personaggio debole in se per se…. Sarà per questo che la adoro, perché è così vera? Vabuò, un bacio a chi recensisce e a chi non lo fa. Bravissimi Un grazie.

    _

    Samuele - Recensione corta ma adorabile! Grande capo! Oh adorabile e venerabile etc etc etc. Grazie

    Tania - A mio modesto parere tu sei una che con me ci andrebbe davvero d'accordo. Poi ti chiami come la mia migliore amica quindi... che sia un segno de destino? MAaaaaaah!? Sta di fatto che ti ringrazio di quello che mi hai scritto, sono lusingata, davvero! E in secondo luogo... ce l'hai MSN? Io ti invio il mio contatto mia mp, così se ti va mi aggiungi? That's all right? Kisses!
     
    Top
    .
  8. Rupan95
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Questo capitolo fa schifo, schifissimo. Perché è cortissimo e perché è troppo sdolcinato e sgrammaticato. Mi sono resa conto che non trasmette nessuna emozione. Però, per dovute esigenze, è venuto fuori così.

    ????????non sono d' accordo. anche se è un capitolo più corto e può sembrare meno bello degli altri ti assicuro che ogni capitolo è importante per fare andare avanti la storia. perciò, complimenti come al solito!! scusa se sono anche io un pò sintetico ma qui la connessione è oro che cola, me la rileggerò di nuovo tutta con calma poi.... :D
     
    Top
    .
  9. Tania the lion
     
    .

    User deleted


    Sono d'accordissimo con Rupan95, un po' di sdolcinatezza non ha mai fatto male a nessuno poi, e credimi, sono io la prima a evitare i telefilm come Un posto al sole & Co. perchè li trovo sdolcinati e depressi (questo per farti capire che in fondo quello che hai scritto non è così sdolcinato). Non è vero che non trasmette emozioni, questo capitolo, anzi! Continua così!
    P.S. chissà cosa trameranno i cattivi ora? Mi stanno mettendo un po' in ansia....
    NON SPOILERARMI! E' no, non farlo!

    per non andare in O.T.
    SPOILER (click to view)
    Ti è arrivato il mio messaggio sul forum? Spero di sì, se no avvisami....


    Edited by Tania the lion - 13/8/2009, 21:23
     
    Top
    .
  10. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 12 – I risvolti negativi di una situazione data per risolta
    ___

    Là dentro faceva un caldo soffocante, qualcosa di assolutamente insopportabile. Probabilmente era così che si dovevano sentire i polli quando li infilavi nei forni e cominciavano a sudare grasso sul letto di patate. Ecco come si sentiva in quel momento, gli piacque quella metafora: era un pollo croccante su un letto di patate dentro un forno.

    “Ehi, stai bene?” chiese l’uomo alla sua destra.
    “No, non sto bene per niente.” Ammise l’altro strappandogli il ventilatorino portatile dalle mani e puntandoselo in faccia con poca grazia, sbuffando rumorosamente per il leggero sollievo che gli provocava l’aria fresca. “Ma è normale che qui faccia così caldo?” chiese mentre un espressione di beatitudine gli si dipingeva in faccia.
    “No. Ecco perché ci hanno mandati qui a controllare…” rispose l’uomo facendo qualche passo in avanti e chinandosi a raccogliere una vite sul corridoio.

    “Questo non è normale vero?”
    “No…”

    STOCK

    “Neanche questo è normale vero?”
    “No, neanche quest … Giù!” urlò l’uomo mentre una nuvola di vapore lo investiva in pieno viso. Una sagoma scura si fece largo tra i due corpi accasciati a terra che si rotolavano in preda a convulsioni dolorose.

    “Brucia vero?” disse la sagoma dando un calcio ad uno dei due che si strinse lo stomaco emettendo un gemito soffocato. Riuscì ad aprire un occhio solo per notare che l’uomo aveva una scura cicatrice che gli deturpava la parte destra del viso e indossava una maschera antigas. “Non vi preoccupate, metterò io un freno alle vostre sofferenze.” Impugnò una pistola e sparò loro in testa.

    “Esseri inutili.” Imprecò lui mentre avanzava nel lungo corridoio, attendendo altre istruzioni dalla ricetrasmittente che aveva nell’orecchio. Ascoltò in silenzio la voce metallica e imbracciò il lungo fucile che teneva dietro la schiena. Corse e arrivò alla stanza, con un poderoso calcio buttò giù la porta.

    “Salve dottore. Non si preoccupi- disse lui guardando il povero uomo che lo fissavo terrorizzato- non si muova e forse le risparmierò la vita.”

    L’anziano in camice bianco strinse gli occhi fino a ridurle in due piccole fessure.

    “Prima vi siete presi il professor Narako, ora volete anche me? Non ve lo permetterò!” allungò la mano fino al tavolo e spinse un piccolo pulsante rosso nascosto sotto una pila di documenti e immediatamente tutti i PC delle stanza si spensero. “Troppo tardi. Ora non potete fare più niente luridi bastardi!”
    “Dici? Stupido vecchio.” Fece partire un colpo e l’uomo si accasciò a terra esanime.

    Toccò di nuovo il pulsante rosso, per tre volte, e subito si riaccese tutto. Prese un CD dalla tasca interna della giacca e con rapidi ticchetti sulla tastiera succhiò tutte le informazioni che gli occorrevano.

    Mentre aspettava l’esecuzione di tutte le impostazioni sentì una stretta alla caviglia e guardò ai suoi piedi.

    “Sei duro a morire vecchio.” Sorrise lui sornione e l’uomo in camice bianco lo fissò da dietro gli occhiali incrinati.
    “Chi ti manda? Chi sapeva del codice di riattivazione?” rantolò lui.
    “Lo vuoi davvero sapere?” si chinò e gli sussurrò all’orecchio un nome. Il vecchio sbiancò e si accasciò definitivamente sui piedi dell’uomo, come avvolto in un incubo terribile.
    Una sirena assordante si fece largo nelle stanze mentre l’uomo correva nei corridoi a grandi falcate. Con un salto preciso raggiunse la finestra e scomparve al di là della grata di sicurezza.

    ***

    Jigen guardò Yume puntare la pistola contro i bersagli e sparare concentrata mentre le luci ad intermittenza del poligono si davano da fare per distrarla più del dovuto. Il segnale di fine esercitazione scattò quasi subito e la ragazza abbassò l’arma, intenta a contare quanti errori aveva fatto e quanti successi.

    “Ahh, faccio schifo!” disse lei dando un calcio alla parete e guardando affranta Jigen.

    Il ragazzo le si avvicinò e le si mise dietro la schiena. Si accostò a lei e le prese le mani congiungendole nella posizione di sparo, sempre stringendole i palmi con i suoi. Con un piede la invitò ad allargare la gamba. Yume sentiva il respiro regolare del ragazzo soffiarle nell’orecchio e cercò di prendere il suo stesso ritmo poi, socchiudendo un occhio, Jigen premette il grilletto e il proiettile colpì la sagoma con una precisione assoluta.

    “Visto che non fai tanto schifo?” Yume fece scivolare le mani dalle sue, girandosi di scatto e premendo le labbra contro quelle dell’uomo. Jigen posò la pistola sul ripiano dietro la ragazza e con una mano slacciò uno ad uno i bottoni della camicetta rosa mentre lei si dava da fare con il nodo della cravatta. Yume sentì un brivido –non sapendo bene se fosse di freddo– quando rimase in reggiseno e Jigen contribuì ad aumentarlo quando gli tolse anche quello.

    Più tardi, due corpi nudi giacevano sul pavimento del poligono coperti a malapena da una giacca scura che fasciava il minimo indispensabile.
    “È già la terza volta che va a finire così…” disse Yume tirandosi leggermente su.
    “Non che me ne dispiaccia.” Rispose Jigen baciandole l’incavo del collo mentre lei sorrideva, solleticata dalla barba.
    “Me ne sono accorta… -e girandosi gli stampò un bacio sulle labbra- Però non si può mica continuare così.”
    “Non sono io quella che si è girata di scatto e mi ha levato la cravatta.” Si giustificò lui.
    “Non sono io quello che mi si è messo dietro mentre sparavo.” Rispose lei facendogli la linguaccia.

    Un clangore metallico costrinse i due a rivestirsi in fretta per vedere chi gironzolava intorno al capannone. Yume attivò le telecamere nella stanza dei computer e immediatamente la faccia di Lupin gli sorrise dal monitor.

    “Entra.” Disse lei nel microfono. Si girò sulla sedia e guardò Jigen che giocherellava con una penna. “Mi passi uno yogurt?” disse indicando il frigorifero.
    “Ma mangi solo yogurt tu?” rispose lui disfattista e la ragazza spostò il dito indice verso la credenza che venne aperta dal ragazzo. Tirò fuori un pacchetto di patatine formato famiglia e gliele tirò. Lei le aprì e ne mangiò qualcuna sotto lo sguardo indagatore di Jigen.
    “Vuoi?” disse lei inclinando la busta verso di lui che allungò la mano per raggiungere la superficie unticcia e croccante di patate.
    “Anche io le voglio!” disse improvvisamente Lupin, sbucando dalla porta e arraffando tutto il pacco senza troppi complimenti. “Ho interrotto qualcosa?” chiese con la bocca piena di patatine mentre si sedeva su una sedia.

    “Zitto e fatti i cavolacci tuoi…” disse Jigen senza andare oltre, accendendosi una sigaretta e prendendo uno dei posacenere nell’altra stanza.

    -Insomma, domani è il grande giorno.- pensò Yume guardando il PC assorta e ticchettando ogni tanto la barra spaziatrice sulla tastiera. Eh sì, perché tra una storia d’amore e un bicchiere di troppo, era passato un mese e mezzo da quando lei e Jigen si erano insieme. Per di più il primo colpo, quello di Lupin e soci, era andato a buon fine grazie anche ai piani dettagliati e le attrezzature fornite da Yume. Ma la cosa che più rendeva felice la ragazza era l’aver recuperato l’ultimo pezzo già esistente della Crystal Gun. Questo significava: pagamento, risvolti positivi, pericolo.

    “Preoccupata?” chiese Lupin posandole una mano sulla spalla.
    “Credo di averne tutti i diritti…” rispose lei sorridendogli. “Ma il piano è studiato bene, dovreste entrare senza troppi problemi. L’unica cosa che mi preoccupa davvero è come arriverete al guardino del Pentagono passando inosservati.”
    “Oh, ma io sono un maestro del passare inosservato!” disse Lupin sicuro di sé, sfoderando uno dei suoi sorrisi a trentadue denti.
    “Sì, è un idiota di prima categoria ma queste cose le sa fare bene.” Confermò Jigen tornando dall’altra stanza.
    “Mi piaci quando parli così fratellone!” disse Lupin saltandogli in braccio e il ragazzo lo riposò sulla sedia sbuffando. Yume si lasciò sfuggire una risata.

    DRIIN, DRIIN

    -E ora chi è?- pensò lei alzando gli occhi al cielo, poi si fece passare la borsa da Jigen e rovistò fino a trovare il cellulare.

    “Sì pronto?... Oh, salve avvocato Mirasawe, tutto bene come sta? … Sì, mi dica…” l’espressione cambiò immediatamente. Un ombra di puro terrore gli si dipinse negli occhi e le mani presero a tremarle convulsamente. Jigen fece per avvicinarsi ma lei lo bloccò con un cenno della mano. “No io… non credo… Lo sa meglio di me che non posso avere… no certo… Il PC… sì, arrivederci.” Attaccò il telefono e si strinse la testa tra le mani, incapace di pensare in modo logico.

    “Cosa è successo?” chiesero Jigen e Lupin insieme, avvicinandosi preoccupati alla ragazza che aveva assunto un colorito bianco.
    “Io… non lo so… i PC, il dottore, mio padre… Hanno… oh cielo!” urlò lei rendendosi conto di saper solo balbettare. Jigen le afferrò una mano e la strinse con più forza che poteva e Yume sembrò riacquistare un po’ di lucidità da quel tocco.
    “Spiegaci cosa è successo Yume. Chi era al telefono?” chiese provando a rassicurarla.

    “Era… l’avvocato di famiglia, il dottor Mirasawe. Lo stesso del testamento… quello che sapeva tutto su mio padre. Mi ha detto che stanotte un uomo ha fatto irruzione nel vecchio laboratorio dove lavoravano i miei genitori. Ha… ha rubato i dati di mio padre, credo sia riuscito ad eludere il sistema di sorveglianza dei PC dove lavorava. Ha… ucciso anche il dottor Takeshi, uno dei collaboratori ai progetti di papà… Ha rubato tutto, tutto.” Scoppiò in lacrime.

    “Quale è il problema Yume? Il progetto della Crystal Gun non era lì in mezzo!” La ragazza girò la testa verso Lupin, che aveva pronunciato quella frase per sdrammatizzare la situazione.
    “No, quelli della Crystal Gun no. Ma quelli del laboratorio sì.” Disse lei tetra mentre due righe lucide le si disegnavano sul viso. “Per quanto ne possiamo sapere possono essere già qui dentro. Sanno come eludere il sistema di sorveglianza… siamo, in pericolo ragazzi.”

    “A quando risalgono quei progetti?” chiese Jigen preso da un improvvisa foga.
    “Alla costruzione… risalgono alla… io… io ho cambiato il sistema di sorveglianza da allora!” disse Yume ritrovando un po’ di serenità nella voce e Lupin con Jigen tirarono un leggero sospiro di sollievo.
    “Yume, quante persone sanno di questo posto? Quante persone hanno partecipato alla costruzione?”

    “Io… credo poche. Oltre a noi tre e Goemon lo sanno anche l’avvocato Mirasawe, lo sapeva il dottor Takeshi. Poi la piccola impresa che lo ha costruito… e due collaboratori di mio padre… mia madre. Basta. Gli altri sono morti, chi per un motivo, chi per un altro.”
    Disse lei provando a ragionare.
    “Chi sono i due collaboratori?” chiese Jigen tranquillo.
    “Uno è andato in pensione dieci anni fa… l’altro. Beh, l’altro era Nobuo.”

    Lupin e Jigen sentirono un brivido sul collo.

    “Nobuo… faceva lo stesso lavoro di tuo padre? Lavoravano insieme?” chiese Jigen esterrefatto e Yume annuì lentamente.
    “Ci siamo conosciuti così. Nobuo… era una mente. Mi aiutava anche a costruire le mie attrezzature. Poi mio padre lo volle tra i suoi e quando morì lasciò quel lavoro quasi per farmi un favore… sapeva che avevo il governo alle calcagna. Io…” Si alzò e si gettò tra le braccia di Jigen che le carezzò la testa mentre guardava Lupin e ascoltarono assorti le parole della ragazza mentre la stessa, probabile, intuizione si faceva largo in entrambe le loro menti. Non osarono parlarne con Yume, se anche ci fosse stata una probabilità che il loro presentimento fosse giusto non avrebbero fatto altro che aumentare l’angoscia della ragazza. Ed ora non serviva parlarne.

    ***

    Due giorni più tardi, dopo un immediato e veloce trasferimento al covo di Lupin, Yume se ne stava rintanata lì dentro per paura che qualcuno potesse trovarla. Si sentiva una vera codarda, mentre tre ragazzi, tra cui l’uomo che amava, erano in America e recuperavano il piano che le serviva per capire quale eredità le era stata lasciata dal padre.

    Guardò fuori dalla finestra il mare che si scorgeva in quella linea lunga e infinita, leggermente mossa dal vento della scogliera.

    Pensò a quanto fosse cambiata la sua vita, a come sarebbe cambiata. Abbassò lo sguardo, mentre duemila domande, una più confusa dell’altra, si facevano largo nella testa. Cosa sarebbe successo dopo? Sapeva che Lupin voleva tornare in Francia, a casa sua, dove vivevano con lui anche Goemon e Jigen.

    Jigen. Ma lo amava davvero quell’uomo? Oppure per lei rappresentava solo il ricordo sbiadito dell’amore che aveva provato con Nobuo? Si sentì una stupida, forse quella era una semplice cotta, qualcosa di altamente adolescenziale… a 28 anni. Forse si era invaghita di lui perché le dava quella sensazione assurda di protezione. Dopo tanto tempo le sembrava una cosa quasi innaturale. Sentì il cuore batterle all’impazzata e fu costretta a poggiarsi una mano sopra il petto.

    Sapeva ciò che sarebbe successo. Non si poteva convincere un uomo come Jigen a seguire i propri sentimenti invece che la ragione; solo lei, idiota, ci riusciva senza problemi. Sarebbe andato in Francia con Lupin, non sarebbe rimasto in Giappone con lei. Purtroppo, o per fortuna, Daisuke era un tipo che amava l’avventura, i soldi, la “carriera” e la sua magnum. Non avrebbe perso tempo con una ragazza, non fino al livello in cui credeva ciecamente Yume. Avrebbe voluto seguirlo, ma sarebbe stato un intralcio nella sua vita. E poi aveva il PUB, la rimessa di armi, il laboratorio…

    Yume ebbe un improvviso e lancinante dolore alla testa e fu costretta a sedersi sul divano della sala. Poi si alzò e andò nella stanza di Jigen, aprendo l’armadio e annusando quell’odore acre di sigaretta che emanavano i suoi vestiti. Prese una giacca dalla stampella e se la mise addosso, anche se le stava grande e lunga poi si sdraiò sul letto del ragazzo nascondendo il viso nel cuscino.

    -Narako Yumeki, Yume per gli amici. Ragazza, donna. Cresciuta in un ambiente sereno con una famiglia che le voleva bene. Una volta persi i genitori si è rifugiata nelle braccia dell’uomo che amava e insieme hanno aperto un PUB. Il loro vero lavoro era scomodo al governo perciò erano stati costretti a costruirsi un identità diversa, un lavoro normale. Il ragazzo si era dato alla malavita “per tirare avanti”. Poi un giorno lo ha beccato al letto con un’altra e una sera di inverno lui è morto in un incidente. Yume ha continuato “l’attività” cercando di farsi un nome, dimostrandosi più tosta di quello che era in realtà, con una faccia da culo che non ha mai avuto. Rifiutati tutti gli eventuali pretendenti (troppo delusioni dagli uomini), si è dedicata al suo lavoro in primis e alla sua ereditarietà. Poi è arrivato Lupin e le era sembrato una ventata gentile di aria fresca, e poi Goemon, e poi Jigen.- pensò lei.

    “E poi sono da capo a dodici!” Urlò in preda ad una crisi isterica. “Ecchecavolo! Guarda tu se va a finire che ricomincia tutto da capo!”

    Si alzò dal letto e prese il cellulare componendo in fretta il numero di Lupin.


    “Pronto? Lupin? Passami Jigen fa il favore.”
    “Sì sì. Un attimo.”

    Poi si rese conto dell’immane cazzata che aveva appena fatto. Per quale motivo lo aveva chiamato? Per sentire la sua voce? Per imploralo? Per salutarlo, chiedergli come andava? A che punto erano? Oppure solo per riu…

    “Pronto Yume? Sono Jigen, dimmi qualcosa non va?”

    Riattaccò il telefono e lo buttò sul letto, portandosi una mano sulla bocca.

    “O mio Dio come sono ridotta male!” gridò lei aspettando la chiamata che di sicuro sarebbe stata rifatta. Infatti dopo due secondi il cellulare risquillò.

    “Pronto?” Yume ebbe una certa riluttanza a rispondere, ma se non lo avesse fatto di sicuro avrebbe fatto preoccupare tutti.
    “Deve essere caduta la linea…” disse Jigen.
    “Oh sì… la linea. Emh, ci sentiamo appena avete notizie?”
    “Sì ma… emh, sì ok.”
    “Ciao Jigen!” disse lei frettolosa.
    “Ciao… ma sei sicura di stare bene?” chiese lui.
    “Ma stata meglio!” e riattaccò, con tono falso e cinguettante.

    -Deficiente, stupida, incosciente e deficiente.- pensò buttandosi sul letto.

    Il telefono squillò dopo poco.

    -Sapevo che la mia performance non lo avrebbe mai convinto-


    “Sì pronto?”
    “...”
    “Pronto?”
    “Biiiiip stock, tu tu tu tu tu.”

    Yume riattaccò il telefono pensando a qualche problema di connessione dovuto alla linea estera poi ebbe l’impressione di aver già sentito quel rumore prima, quella specie di clangore metallico… E ogni tassello andò al suo posto.

    “No… nono… non ora. Cavolo!” rifece di corsa il numero di Jigen.

    “Pronto? Yume? Ma che ti piglia oggi?”
    “Jigen, hanno appena rilevato la mia posizione, sanno dove sono. Avevano il mio numero di telefono.”
    “Cos… ma come… Aspettaci, ci toccherà fare alla vecchia maniera. Qui ce la possono fare anche senza di me. Sto tornando. Tu corri da qualche parte al sicuro, dove non possono trovarti. E butta il cellulare su una macchina che viaggia, in un camion, qualcosa che va lontano. Io ti troverò con il GPS dello Zippo. Vai Yume, vai corri.!”

    Riattaccò il cellulare e dopo essersi tolta la giacca prese la moto e scappò di corsa dal covo.

    Jigen guardò Lupin che a sua volta lo fissava preoccupatissimo poi sorrise all’amico e gli diede una pacca sulla spalla.

    “Sempre tipi difficili tu eh?”
    “Me l’hai presentata tu.”
    “Vai Jigen.”

    E corse lungo la via, diretto verso l’aeroporto dove avevano lasciato il jet.

    ___

    Angoletto autrice

    Non ci sono molte cose da dire, tranne che è migliore di quello scorso e che è serio e stupido allo stesso tempo. Mi piace come è venuto fuori sì. Buon per voi, sto meglio dell’altra volta con la coscienza. U_U
    Ok, Ok. Stavolta ci sono scene leggermente più forti. Ma non danno fastidio su... (secondo me gli hanno fatto piacere...)

    Si ringrazia:

    Tania The Lion - Grazie per le bellissime parole che mi hai regalato. Sono commossa. Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.

    Rupan95 - Tu non hai idea di quanto io ti adori. Sei il primo "ragazzo" che si interessa di queste cose. Se ti avessi davanti ti bacerei guarda! Grazie anche te dei complimenti. Spero che anche questo capitolo possa piacerti.

    Un grande bacio a tutti!
     
    Top
    .
  11. Tania the lion
     
    .

    User deleted


    Arrivano i cattivi, accidenti, non è che per caso porto io sfortuna?
    CITAZIONE
    P.S. chissà cosa trameranno i cattivi ora? Mi stanno mettendo un po' in ansia....

    La prossima volta sto zitta se no Jigen mi fa secca XDXDXDXD!
    Di nuovo complimenti, questo capitolo e carichissimo di tensione!
     
    Top
    .
  12. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 13 – Quid est?
    ___

    “Ehi? Cos’hai?” chiese Jigen andandole vicino.
    “Mh, butta a caso?” rispose Yume sarcastica prendendosi una cioccolata calda dal distributore automatico.
    “Dai, come alloggio temporaneo non è mica male!” affermò lui allungando una mano verso il bicchiere della ragazza e lei glielo passò senza troppo complimenti.

    Faceva un freddo cane lì dentro. C’era puzza di chiuso ma soprattutto puzza di muffa e di stantio. Quando Jigen era tornato in Giappone, aveva seguito il segnale del GPS di Yume, quello che lei teneva nella catenina che portava al collo. Si era ritrovato davanti ad una palestra chiusa per ristrutturazioni e una volta entrato aveva trovato la ragazza in lacrime, avvolta in una coperta, che beveva un the caldo dopo l’altro per provare a scaldarsi a sufficienza. E una volta finito il the si era data alla cioccolata.

    Lupin aveva chiamato dall’America Fujiko per continuare con il piano e da due giorni a quella parte Yume e Jigen avevano ricevuto notizie buone da parte del ragazzo: era riuscito ad entrare in possesso dei documenti. Aveva solo dovuto fare quattro chiacchiere con Zenigata che, guarda la fortuna, si trovava al Pentagono per una visita isolata.

    “Ancora non mi hai spiegato perché sei venuta qui a nasconderti.” Disse Jigen guardando assorto il soffitto e le chiazze di muffa sul muro che disegnavano strani disegni sulla parete.
    “È la palestra di uno dei clienti abituali del PUB. Mi doveva un favore… e poi non c’era nessun altro posto in cui potevo andare senza essere notata.” Ammise lei cercando un po’ di spazio tra le braccia di Jigen che, seduto per terra nella sala di aerobica, fece poggiare Yume contro di lui coprendola poi con una coperta pesante.

    “Su, resisti un altro po’- disse lui guardando l’orologio – Lupin dovrebbe essere qui a momenti.”
    “Sì… ti dispiace se chiudo gli occhi due minuti? Non dormo da due giorni.”
    “Fai fai.” Rispose lui tirando un po’ più su la coperta.

    Neanche fece in tempo a rispondere che sentì il respiro della ragazza farsi più pesante e dedusse che già si era addormentata. Guardò il profilo del viso e le tirò dietro una ciocca di capelli ribelli che le solleticavano il naso. Guardò la fronte corrugarsi lievemente e le labbra incresparsi più e più volte. Non stava facendo un sonno tranquillo. Jigen sospirò sonoramente e strinse le spalle al corpo per farsi un po’ di calore, con scarso successo.

    Adagiò Yume sul pavimento mettendogli una coperta come cuscino e si alzò per fare un giro nella palestra, giusto per sgranchirsi le gambe. Prese lo zippo che gli aveva regalato la ragazza e si accese una sigaretta, camminando lentamente. Ripensò agli avvenimenti di quegli intensissimi giorni mentre con un piede scalciava una palla da ginnastica artistica. Eppure c’era qualcosa che non quadrava.

    Per quale motivo nessuno era andato al covo né tantomeno al laboratorio? Neanche intorno al PUB, che Yume aveva temporaneamente chiuso, si era avvicinato nessuno. L’intuito gli diceva che qualcuno stava aspettando una qualche mossa ma più ci pensava e più la soluzione del rebus gli sfuggiva dalle mani.

    Sentì un rumore provenire dall’entrata e si nascose dietro una colonna tirando fuori la magnum.

    “Calmo, siamo noi.” Rispose una voce conosciuta e amica. Uscì dal suo nascondiglio improvvisato e andò incontro a Lupin, Goemon e Fujiko che si sedettero esausti su delle sedie.

    “Che schifo, puzzo da fare impressione!” disse Lupin annusandosi con circospezione un’ascella.
    “Sì, molto romantico…- disse Fujiko alzandosi e andandosi a sedere tre sedie più in là- Dov’è Yume?”
    “Sta dormendo nella sala di aerobica. Siete passati al covo?” chiese Jigen buttando la sigaretta in un cestino, ma prendendone immediatamente un’altra.
    “Sì, e non c’è niente di strano.” Rispose subito Goemon.
    “Al laboratorio?”
    “Nulla.”
    “A al PUB?”
    “Nada de nada.”

    Lupin sospirò forte e prese qualcosa dalla tasca interna della giacca.

    “Principe-azzurro-accanito-fumatore, vai a svegliare la tua bella che è il momento di chiarire un po’ si cose.” Disse sventolando una cartellina gialla davanti gli occhi del ‘principe’ che andò nell’altra stanza. Si chinò su Yume e le sussurrò in un orecchio.

    “Ehi? Sono arrivati.”

    Immediatamente la ragazza si alzò, stropicciandosi gli occhi e sbadigliando sonoramente.

    “Facciamo tra cinque minuti?” provò a dire lei e incontrò lo sguardo di Jigen: non ammetteva repliche. “Uffa, io ho sonno!” si lagnò alzandosi comunque. Seguì il ragazzo nell’altra stanza e trovò ad attenderla i tre ragazzi che la squadrarono da capo a piedi.

    “Non mi fate sentire più indecente di quello che sono già…” disse lei osservandosi in uno specchio della sala dove si erano spostati. Aveva due profonde occhiaie sotto gli occhi e i capelli le ricadevano disordinati sulle spalle e sul viso struccato. Si passò una mano sulla fronte e sospirò sonoramente mentre una piccola venuzza pulsante di rabbia e stanchezza le affiorava sulla tempia. “Avete qualche notizia semidecente?” chiese sedendosi mentre Fujiko tirava fuori da una borsa una bustina di plastica.

    “Uh! Un souvenir…” disse lei sarcastica mentre le venivano porsi la busta gialla da Lupin e l’altra da Fujiko. “Li avete aperti?” chiese guardando con circospezione ciò che aveva tra la mani e loro scossero la testa.

    “Questa era insieme alla busta gialla.” Disse Fujiko indicando il pacchetto di plastica e Yume annuì mentre la apriva e aggrottava le sopracciglia confusa. Tirò fuori una scatolina di metallo e scoperchiandola trovò un pezzetto di cristallo.

    “Il cane!” esclamò lei guardando esterrefatta il contenuto del prezioso contenitore.
    “Cosa? Un cane?” chiese Fujiko guardandola torva.
    “Ma che hai capito? No! Il cane della pistola! C’è un altro pezzo che non devo costruire!” disse lei mostrando a tutti la piccola parte di cristallo. Poi richiuse e prese la busta. “È giunto il momento della verità…” disse aprendola. Estrasse un foglio e lesse le parole nella testa senza dirle e nessuno.

    Riconobbe la scrittura frettolosa e curva del padre e rilesse quel foglio più e più volte poi lo ripose nella busta di carta con molta calma.

    “Ragazzi, credo che sia il caso che ve ne andiate a casa e vi facciate una bella dormita. Io posso anche tornare nella mia, e non fate storie che non sta succedendo nulla da tre giorni, e da domani andrò al covo per cominciare a costruire tutto quello che serve per la Crystal Gun. Vi ringrazio davvero tanto per il lavorone che avete appena concluso. Ora andata che credo abbiate bisogno anche di una doccia…” ammise lei indicando Lupin che alzò le spalle come per scusarsi di quel lieve profumino di marcio che emanava. In confronto la muffa della palestra era un campo di fiori in primavera.

    “Yume, non credo sia il caso…” provò a dire Fujiko ma la ragazza la fulminò con un occhiata, e la Mine ci lesse una lieve frustrazione. Rinunciò subito.
    “Ok, andiamo tutti a casa- Disse Jigen -però io vengo da te e ci rimango fino a domani.” Lupin soffocò una risatina nervosa e si beccò una gomitata nello stomaco da Goemon e Fujiko.

    “Mi sembra una cosa equa e dignitosa.” Disse allora Arsenio diventando improvvisamente serio e Yume si stupì di quel veloce cambiamento di umore. I tre si girarono e presero la via di casa, la via sacra della redenzione e della doccia pensava qualcuno mentre, sarcastico, si allontanava.

    “Ok, adesso che se ne sono andati mi dici cos’hai?” chiese Jigen alzandosi un po’ il cappello.
    “Possibile che io non ti possa mai nascondere un cavolo a te?” disse Yume prendendo la busta gialla da terra e mettendosela in tasca.
    “Veramente non avevo capito nulla finché non hai guardato Fujiko in quel modo, credo che anche lei abbia intuito qualcosa poco fa.”

    La ragazza sbuffò sonoramente e prese la busta, porgendola a Jigen che aprendola lesse velocemente quell’unica frase scritta sul foglio.

    “Cosa significa?”
    “Non è molto difficile come interpretazione… il problema è che adesso non ci voleva proprio un altro indovinello.” disse lei prendendo il foglio e bruciando con un accendino uno degli angoli, mentre le parole svanivano piano, annerendosi.

    ________________________________________________
    Ok, sono bastarda e priva di senso. Il capitolo, come immaginate, non mi soddisfa. È pure abbastanza cortino… comunque non è malaccio dai! Non ho tempo di abbracciarvi tutti ma vi ringrazio tanto soprattutto per i vostri bellissimo commenti. GRAZIE!
     
    Top
    .
  13. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 14 – Le parole che non ti ho detto

    ___

    “Ora, adesso, in questo momento, oggigiorno, alle 23.45, oggi notte, mentre siamo qui…”
    “Piccola vai al sodo?”
    “Non ti va di ascoltarmi?”
    “A dir la verità preferisco le persone che parlano chiaro, senza giri di parole.”

    Ce l’aveva fatta. Yume era riuscita a prendere il coraggio a quattro mani e a chiedergli quello che davvero voleva sapere da lui. Ne sentiva il bisogno, sentiva una bestia muta che le graffiava il petto tutte le volte che scioglieva un suo abbraccio, un suo bacio, una sua carezza. Quel loro essere divisi anche se a tre cm di distanza riusciva a turbarla in maniera inquietante, e la bestia muta premeva sullo stomaco come non mai. E quella sera, mentre fuori pioveva a vento e il freddo penetrava nella carne, ebbe la sensazione che fosse arrivato il momento di mettere in chiaro la situazione una volta per tutte. Probabilmente quella determinata circostanza le era stata dettata anche dal fatto che rischiava la vita da circa tre giorni e i movimenti intorno a lei le sembravano quasi un rallenty instancabile.

    “Jigen - cominciò senza riuscire ad alzare lo sguardo - Io ho parlato con Lupin molto tempo fa, prima di conoscerti. So quali erano le sue intenzioni, so cosa voleva fare con i soldi del bottino. So che una volta saldato il suo debito con me, sarebbe dovuto sparire una volta per tutte per rifarsi vivo quelle sporadiche volte in cui gli occorreva del materiale. Mi ha raccontato la vostra vita, mi ha detto che avete una casa in Francia tu e lui, un luogo fisso dove passate la maggior parte del tempo in cui non ve ne andate in giro a fare danni. Goemon vi segue lì molte volte, e Fujiko anche. Il vostro alloggio qui in Giappone è solo temporaneo, come tutti i covi che avete costruito in giro per il mondo. Persino Zenigata vi rincorre dappertutto essendo dell’ICPO e voi vi divertite a torturarlo, come al solito.”

    “Sì, è un modo simpatico di passare il tempo” disse lui sorridendo.

    “Lasciami finire. - rispose lei con una faccia da funerale - Io so che voi quattro formate una squadra e che siete a dir poco indivisibili perché siete capaci di completarvi a vicenda. Ognuno ha le sue doti e… e adesso sto divagando. Vedi, io mi rendo conto che non potrò mai seguirvi lì in Francia e se anche lo facessi sarei solo un intralcio alla vostra vita, un ulteriore rischio. Perciò, Jigen Daisuke, ti chiedo quest’ultimo favore. Dimmi la verità, cosa accadrà dopo? Come sarà il futuro? Io non ti sto chiedendo di scegliere tra la vita che hai sempre fatto e una nuova, bada bene, ti sto solo chiedendo una risposta. Forse non la risposta definitiva ma qualcosa di logico e razionale su cui basare la mia esistenza, il mio futuro. È solo che… che mi sento così confusa e questa stupida situazione di pericolo mi stordisce come non mai. Dimmelo adesso Jigen, devo dimenticarmi di te? Devo ricominciare a vivere la mia vecchia vita e rivederti quelle famose sporadiche volte?”

    Un silenzio saturo di pensieri si intromise nella stanza e Yume si portò istintivamente una mano alla bocca, mordendosi una nocca con insistenza. Ciondolava lentamente le gambe e dava delle botte ritmiche all’asse del tavolo, scandendo un tempo che sembrava infinito. Jigen, dal canto suo, continuava a scuotere leggermente la testa dal divano dove era seduto e fissava gli spazi vuoti tra le mattonelle del pavimento.

    “Tu non hai idea di ciò che hai appena fatto.” Disse lui all’improvviso e Yume si riscosse un poco da quello stato di torpore in cui era caduta involontariamente.
    “Io… mi dispiace. Non volevo metterti davanti a questa situazione così.” Rispose abbassando lo sguardo e Jigen sbuffò sonoramente, osservandola mentre strusciava le dita contro le superficie del tavolo dove era seduta.

    “Ho trentatré anni suonati Yume, credevi davvero che io non sapessi che Lupin ti aveva detto tutto? Che non ci avessi già riflettuto da solo sul futuro? E mettiamoci un bel ‘nostro’ vicino, aggettivo che tu hai volontariamente evitato nel tuo discorso riempito di fronzoli e belle parole.” Yume alzò lo sguardo verso di lui e notò un sorrisetto compiaciuto farsi largo sul suo viso. Come poteva sorridere in una situazione del genere?! E poi come si permetteva di dirgli certe cose con tanta sfrontatezza?! Per un attimo le risuonò nella testa l’eco delle litigate che facevano prima di mettersi insieme. Jigen si alzò dal divano e le si parò davanti, non lasciandole il tempo di ribattere. Le afferrò le mani e puntò gli occhi nei suoi, togliendosi il cappello con una scrollata di capo.

    “Lupin sa tutto - cominciò lui con fare sicuro - e ne ho parlato anche con gli altri. Loro ti vogliono in squadra. Hai detto che ci completiamo, non è vero. Abbiamo un abile ladro dalla mente scaltra, una pistola veloce, una spada tagliente e un corpo di donna senza scrupoli. Ci manca una mente informatica, qualcuno che ci rimedi la maggior parte delle cose di cui abbiamo bisogno senza correre da una parte all’altra dei continenti. Abbiamo il covo principale in Francia perché si trova al centro del mondo e lontano dalla sede centrale dell’ICPO, e siamo lì per una questione di comodità visto che Lupin è di quella terra. Sto per rivoltarti la domanda Yume. Cosa accadrà dopo? Cosa ne sarà del nostro futuro? Saresti pronta a seguirci?”

    La ragazza rimase spiazzata ma ebbe la prontezza di rispondere, anche se lentamente.

    “Io non so se sarei pronta, non ci ho pensato. Il PUB, il magazzino, i miei clienti per lo smercio, gli amici, sono tutti qui!”
    “Yume io non sarei capace di lasciarti qui e ricominciare a vivere come se niente fosse successo. Credi che non sappia cosa significhi rimanere da soli con la paura della morte vicino? Non hai idea di quante siano le persone che ho abbandonato o che lo hanno fatto senza volerlo. Yume io ti amo.” Disse lui, senza mollare la presa e senza staccare lo sguardo. Sapeva che era l’unico modo per impedirgli di mentire o di trovare scuse.
    “C… cosa?” balbettò confusa.
    “Non sono un tipo che dichiara i suoi sentimenti così apertamente ma è l’unico modo per… –in un attimo gli si incrinò la voce ma riprese subito senza inflessioni –per dimostrarti che non sei la ragazza di passaggio o che le mie non sono menzogne. L’hai detto tu che non sai vivere da sola, senza appoggiarti a qualcuno. Mi sto offrendo io. Ti sto offrendo una vita pericolosa e senza riposi, qualcosa di diverso da quello che hai fatto sinora. Cerca di ca…”
    “Sì.” Rispose lei sicura e con la voce ferma mentre il ragazzo di fronte a lei gli poggiava un dito sulle labbra.
    “Non fare la bambina immatura solo perché ti ho detto quello che ti ho detto. Non mi puoi dare una risposta così senza neanche rifletterci. Me lo hai dichiarato tu poco fa che non saresti in grado di seguirci perché saresti un intralcio… poi che tipo di intralcio lo sai solo tu. Comunque devi pensarci seriamente, ti sto chiedendo di cambiare vita.” Disse lui allentando un po’ la stretta sulle mani della ragazza che riuscì a divincolarsi e gli si gettò tra le braccia mentre la bestia nel petto mugolava inquieta.

    Jigen la strine a se con forza. Aveva parlato troppo, se ne rendeva pienamente conto. Le aveva detto ‘ti amo’ e si diede dello stupido per questo: non si può dire una frase così importante dopo soli due mesi. Che se poi uno li va a contare erano sei i mesi… ma comunque si era spinto troppo in là. Un pensiero gli balenò nella testa e sospirò sommessamente. Sapeva per quale motivo lo aveva fatto, era più che conscio della causa di tutto quell’affetto esternato goffamente e immaturamente.

    Sentiva Yume scivolargli via dalle mani, come altre ragazze prima di lei. Quando scopriva di essersi affezionato a qualche donna in maniera speciale, se le vedeva portar via da un nemico imbattibile: la morte. E adesso, quel ciclo infinito di spargimenti di sangue sembrava non voler cessare. Una parte del suo cuore sapeva che presto sarebbe tutto finito con Yume, ma la sua testa, fredda e calcolatrice, gli diceva il contrario e si ostinava ad andare avanti.

    “Ho paura Jigen.” Disse lei premendo la testa contro il petto dell’uomo che avvertì il respiro caldo della ragazza attraverso il tessuto della camicia, facendolo riscuotere da tutti i suoi pensieri.

    Decise che quella sera, il ciclo infinito avrebbe interrotto il suo flusso una volta per tutte.

    La notte passò serena, senza nessun altro intoppo, e l’indomani mattina di buon ora i soci in affari si recarono al magazzino di Yume per discutere di faccende che andavano risolte con pressante urgenza.
    “Ok, ci siamo tutti.” Disse la Narako tirando fuori uno zippo omologo a quello di Jigen. Spense tutte le luci della stanza dei PC e connetté con un cavo il piccolo accendino al suo portatile. “Questo è ciò che c’era scritto nella busta gialla, ho fatto le foto con lo zippo prima di eseguire il comando.”

    I tre che ancora non conoscevano il contenuto della lettera sgranarono gli occhi.

    La chiave è dentro ciò che non abbaia.
    poi
    Bruciami




    “Beh, l’indovinello non mi sembra molto difficile…” disse Fujiko alzando le spalle e le persone nella stanza annuirono convinte. “Significa che la chiave dell’indovinello è nel cane della pistola.” Continuò lei e Yume andò dietro la scrivania tirando fuori il piccolo pezzetto di cristallo.

    “Ok, fin qui ci siamo tutti.” Mise il cristallo sotto un piccolo microscopio elettronico mostrando le immagini che venivano trasmesse al PC ai quattro che guardavano interessati.
    “Non c’è niente.” Disse semplicemente Lupin aggrottando le sopracciglia.
    “Esatto, non c’è niente.” Asserì Jigen accendendosi una sigaretta. Goemon socchiuse gli occhi concentrato sulla figura che veniva trasmessa.

    “Mi hanno insegnato che se le cose non si possono vedere, non significa che non ci siano, o che non esistano…” disse il samurai alzandosi in piedi e Yume lo fissò confusa. “Ho il permesso di tagliare quel pezzo di cristallo?” chiese lui. La ragazza sembrò titubante ma fece una scrollata di spalle subito dopo.
    “Credo sia l’unico modo. Le mie apparecchiature non riescono ad analizzarlo pienamente.” Disse lei e passò la scatolina a Goemon che dopo averla poggiata sul tavolo sfoderò la spada con un fluido movimento. Un taglio deciso e la rinfoderò immediatamente, lasciando nel contenitore un pezzo di cristallo perfettamente diviso a metà.

    “Uao…” balbettò Yume che si riscosse subito e osservò l’operato del samurai sul tavolo. “Io… non ci posso credere.” In une delle due metà, troneggiava un piccolissimo filamento di un materiale diverso da quello che costituiva il suo involucro.
    “Cos’è?” chiesero gli altri quattro in coro osservando incuriositi il filo elastico. Yume prese un paio di pinzette da sopracciglia e tirò leggermente lo spago verso l’alto che scoperchiò un piccolissimo velo trasparente.

    “Grandioso, specchio a doppio riflesso. Io ti vedo come se fossi dietro una superficie trasparente ma tu mi vedi come se fossi uno specchio normale.” Disse Lupin eccitato da tutta quella maestria. “Ecco perché il microscopio non faceva percepire nulla, ci rifletteva un immagine falsa!” continuò lui terminando una spiegazione semplice ed esauriente. Yume riversò il contenuto del pezzetto di cristallo in un vetrino che infilò sotto il microscopio e osservò incuriosita la sottilissima polvere biancastra poggiando gli occhi sulle due lenti, poi sorrise beffarda.


    “Lupin, sai perché il cristallo si chiama così?” chiese Yume accendendo la telecamera per mostrare le immagini anche agli altri ragazzi.
    “Emh, no.” Ammise lui alzando le spalle.
    “Deriva dal greco Crystallos, significa ghiaccio. E cosa succede se bruci il ghiaccio?”
    “Emh… si scioglie?”
    “Passami la fiamma ossidrica sulla parete.” Disse lei allungando la mano e prendendo l’arnese diede una sfiammata sul vetrino che si sciolse, lasciando intatto il suo contenuto.
    “Non dovrebbe fondere anche quello?” chiese Fujiko guardando la polverina bianca che, stranamente, brillava più di prima.

    “No se si tratta di polvere di diamante.” Tutti la fissarono attoniti. “Il bruciami della lettera non era riferito al messaggio ma alla polvere di diamante nascosta nel cane! Credo che si tratti di una miscela particolare durissima, usata solo in campi specifici, qualcosa di potenzialmente non analizzabile perché segreta alla maggior parte delle persone. È questo che conferisce durezza alla Crystal Gun, è questo che la rende unica. E la cosa più bella è: reggetevi forte… che non fonde neanche alla sua temperatura normale! Il diamante brucia a circa 4000° ma questo resisterebbe ancora! Mio padre ha creato un materiale quasi indistruttibile, ecco perché lo voleva tenere nascosto. Se i governi entrassero in possesso della formula potrebbero creare armi di distruzione di massa e sarebbe la fine delle nazioni nemiche!” disse lei tutta d’un fiato, mentre le traspariva dalla voce un’emozione incontenibile.

    “Sembra quasi un dejà vu*- disse Goemon osservando il filo della sua spada – Ma la Crystal Gun non ha resistito alla Zantetsu-ken.”
    “Niente resiste alla Zantestu-ken.” Disse Lupin prendendo una sigaretta da Jigen che gli passò contrariato anche lo zippo. Yume annuì convinta e andò di corsa a prendere dei fogli in un cassetto.

    “Queste D puntate sugli schemi potrebbero essere il sinonimo di diamanti - indicò le lettere sul foglio – E i colori vicino potrebbero appartenere alla categoria. Per esempio D. nero dovrebbe essere diamante nero. La quantità segnata vicino corrisponde invece ai milligrammi di polvere da usare. Ci sono… 7 colori diversi. Bianco, nero, rosso, blu, verde, giallo, rosa. Il bianco è in quantità maggiore rispetto gli altri. Non è tanto comunque, dovrei riuscire a rimediarne una buona dose entro tre settimane. E comunque posso cominciare a costruire i pezzi che mi mancano. Per quelli serve solo il diamante bianco e dovrei avere della polvere in magazzino. Gli altri colori sono usati solo in questo pezzo qui –indicò un piccolo disegno- Sai cos’è?” chiese a Jigen che sollevò il foglio e lo osservò circospetto.

    “Credo di non aver mai visto niente di tutto ciò. Sembrano dei contenitori piccolissimi di… qualcosa.” Disse indicando i sette piccoli incavi del disegno.
    “A questi possiamo pensarci più tardi comunque.” Disse Yume sbrigativa e ripose i progetto del padre nella cartellina dove erano poco prima.
    “Abbiamo risolto il problema più grande. Quanto dovremmo aspettare per vedere quel capolavoro di pistola finito?” Osservò Fujiko incrociando le braccia al petto e venne fulminata dallo sguardo di tutti gli uomini della stanza.

    “Donne, basta sentire la parola diamante e non capisco più nulla. Tutte uguali.” Disse Jigen
    “Concordo.” Finì Lupin. Dopo due secondi avevano tutti e due una mano stretta sulla testa per il colpo ricevuto dalla rispettive ragazze che se ne andarono nell’altra stanza a sbollire.

    I due ragazzi si squadrarono sorridendo.
    “Tutte uguali.” Confermarono ridendo sguaiatamente.

    Dopo circa tre ore di piani insoliti e risate involontarie tutti quanti tornarono alle rispettive abitazioni, tranne Jigen e Yume che rimasero nel padiglione ad allenarsi con la pistola. La ragazza abbassò la sua dopo circa due ore, tenendosi il braccio con un’espressione di dolore dipinta sul volto.


    “Non sarà ora di staccare?” chiese guardando Jigen.
    “Sì, credo sia ora. Torniamo a casa?”
    “Ma non ti stufi di farmi da balia?”
    “E tu non ti stufi di stufarmi Yume?”
    “Guido io.” Disse lei cambiando discorso.
    “…” Jigen sgranò gli occhi.
    “Che c’è?”
    “C’è che siamo senza macchina.” Ammise lui non avendo calcolato il piccolo imprevisto ma Yume scrollò le spalle
    “Andiamo con la Honda. Che guido io.”

    La situazione era abbastanza imbarazzante. Non si vedeva quasi mai la donna che teneva il manubrio e l’uomo che le cingeva i fianchi con le braccia. Yume si stava divertendo come una matta a far pesare la situazione più del dovuto mentre guidava, passando tra le vie trafficate e correndo più del previsto. Arrivati a casa Jigen scese dalla moto tenendosi la testa, coperta da casco, con entrambe le mani.

    “Sei un pericolo pubblico!” le disse indicandola e poggiandosi al muro.
    “No, sono a cui piacere spingere l’acceleratore.” Si giustificò lei prendendo le chiavi e aprendo la porta di casa sorridendo compiaciuta. Gliela doveva far pagare per quel ‘tutte uguali’ di poco prima e ora si sentiva pienamente soddisfatta.

    Cenarono in silenzio, non avendo particolari argomenti di cui parlare ed essendo ambedue stanchi e spossati per la giornata che avevano avuto. Yume aprì il cassetto in cui teneva i pigiami e si rese conto di avere solo due scelte… o un imbarazzantissima camicetta di seta nera scollata, o un pesante pigiama di pile blu con disegnate sopra delle graziose pecorelle saltellanti.

    -Dio perdonami…- pensò lei buttandosi sul letto della camera non sapendo bene se piangere o ridere. Sarebbe voluta andare nell’altra stanza e prendere qualcosa ancora da stirare ma di più decente, ma Jigen le intralciava il cammino guardando la televisione il salone. Non sapeva perché, ma farsi vedere in intimo da lui era una cosa che la imbarazzava in maniera inequivocabile. Prese una coperta dall’armadio e ci si avvolse dentro uscendo dalla camera e assumendo l’espressione più naturale che aveva.

    Camminò tranquilla fino al salone e affrettò il passo mentre passava vicino a Jigen.

    “Cos’è? C’è la manifestazione degli Inuit in giro e nessuno mi ha avvertito?”

    La ragazza sobbalzò e sparì al di là della porta della lavanderia dove afferrò un pigiama decente e dopo esserselo infilato uscì camminando disinvolta fino alla camera da letto. Sentì Jigen ridacchiarle dietro.

    “Cos’hai da ridere?” disse lei voltandosi e guardandolo severa. Lui indicò una parte non precisata sul suo sedere e lei ci si portò involontariamente la mano. C’era un buco di proporzioni spropositate e lei avvampò in viso mentre correva in camera.

    -Non sarò sexi, ma neanche indecente.- pensò lei infilandosi il pile con le pecore dando le spalle alla porta. Dopo poco sentì le braccia di Jigen cingerle la vita.

    “Io ti preferisco con quello…” disse lui accennando alla camicetta di seta piegata nel cassetto.
    “Invece ti devi accontentare di Dolly e le sue amiche.” Rispose lei stizzita, ma non trattenendo un sorriso. Si girò e lo baciò con affetto mentre si infilava sotto le coperte, seguita da lui.

    Appoggiò la testa sul suo petto e ci si accoccolò tranquilla.

    “Jigen. Sai, qui vicino c’è un poligono di tiro con l’arco. È davvero a due passi da casa mia e in tanti anni che ci abito non ci sono mai andata. Tutte le volte che ci passo davanti mi dico: un giorno ce la faccio una scappata! Non è mai successo. Non è che un giorno ti andrebbe di farci una scappata… con me?”
    Lui giocò con un boccolo della ragazza e sospirò tranquillo.
    “Dormi Yume. Dormi.”
    “Promettilo.”
    “Te lo prometto.”

    -Me lo hai promesso Jigen. Me lo hai promesso…-

    _____________

    Angoletto autrice, rinominato anche “Lo sclero post capitolo”


    Ok, come al solito sono stata abbastanza veloce ad aggiornare perciò non mi potete far pesare nulla. Che vi dico? Sono soddisfatta di quello che è venuto fuori, pensavo sinceramente che fosse uno schifo ma rileggendolo mi sono resa conto che non è così. Forse anche grazie a qualcuno che si dà da fare per aumentarmi l’autostima. Non so, l’unica cosa che sinceramente non mi convince è quel ‘Ti amo’ detto da Jigen, ma mi serviva una scusa per farci cascare Yume e conoscendola ci è cascata con tutte le scarpe. L’ultima scena, quella del tiro con l’arco. Beh, quel posto esiste davvero ed è vicino casa mia. Ho voluto riportare i miei pensieri a Yume perché anch’io, pur avendolo a due passi, non ci sono mai andata e tutte le volte che il 556 passa lì davanti mi dico: Ma sì, poi ci vado. Invece… volevo che ci fosse qualcosa di mio in questo capitolo ecco U_U

    Credo di avervi detto tutto… ah una cosa:

    *Intendeva Dejà vu perché nel film: Spada Zantetsu infuocati, alcuni governi cercano in tutti i modi di rubare un dragone dove c’è scritta la formula per creare il metallo della spada di Goemon che, come sapete, è indistruttibile.
     
    Top
    .
  14. _Shinami_
     
    .

    User deleted


    Capitolo 15 – Resistenza
    ___

    Prese una freccia e se la rigirò tra le dita, indeciso sul da farsi. Afferrò l’arco con il braccio sano e lo tirò su inforcando il lungo dardo, socchiudendo leggermente l’occhio per prendere la mira.

    “È davvero il caso che lei provi a tirare con l’arco?” domandò l’uomo al suo fianco esibendo una faccia tra lo scettico e il titubante. Per tutta risposto subì un’occhiataccia dallo strano tipo a cui stava insegnando le tecniche base di tiro e decise di chiudere il becco, una volta per tutte.
    “Deve tendere di più il braccio, e piegare leggermente le gambe. Per il resto ha una capacità di rimanere fermo invidiabile. Ha per caso esperienza in questo campo?”

    L’uomo tese l’arco e scoccò la freccia che finì al centro del bersaglio senza troppi problemi. L’istruttore lo fissò attonito.

    “No, nessuna esperienza.” Disse semplicemente quello abbassandosi la tesa del cappello e prendendo una sigaretta da un pacchetto di Pall Mall che aveva nella tasca. “Semplicemente fortuna.” E gli diede l’arco dopo aver infilato il braccio fasciato dentro la benda che teneva appesa al collo. Si diresse verso il capannone centrale della zona di tiro. L’istruttore fissò prima l’uomo e poi le frecce che ancora aveva nella faretra lasciata a terra.

    “Signore, ha ancora molti tiri a disposizione!” gli urlò da dietro.
    “Ho troppo male al braccio- gli rispose di rimando quello strano tipo -sarà per la prossima volta.”
    L’uomo fece un’alzata di spalle e terminò per lui il lavoro.

    Jigen camminò lento per raggiungere la sua meta. Aveva bisogno di pace e tranquillità. Sentì un dolore acuto provenire dal braccio fasciato ma non se ne curò più di tanto. Una macchina parcheggiata gli riflesse un’immagine strana e sospirò stancamente toccandosi leggermente l’occhio violaceo e gonfio. Si passò la mano sulle leggere cicatrici che aveva sul viso e sorrise amaro verso la sua immagine riflessa. Camminò ancora e alzò lo sguardo verso il gigantesco edificio bianco e blu dove troneggiava la scritta purpurea e luminosa dell’ospedale.

    -Andiamo a tormentarci ancora un po’- pensò lui mentre con grandi falcate passava la trafficata entrata di quel luogo di dolore e disperazione. Camminò veloce e con maestria nei corridoi che puzzavano di alchool e raggiunse il giardino da dove prese una piccola deviazione. Si fermò davanti la porta. Quella porta.

    -Forza- si disse, e spinse leggermente il battente della porta mentre questa si richiudeva alle sue spalle facendo ciondolare leggermente il cartello che vi era appeso:

    Obitorio

    ***

    Qualche giorno prima



    “Secondo me c’è bisogno di qualcos’altro…” sussurrò Yume piegandosi per raccogliere un cacciavite che le era caduto da tavolo.
    “Ma no- disse Jigen precedendola e riportando il cacciavite al suo posto- Secondo me va bene così. Segui la ricetta!”
    “Sì, aglio e peperoncino solo in minime quantità e non esagerare con il sale che poi ti viene la pressione alta.” Rispose lei afferrando l’arnese dalla mani del ragazzo per riprendere a stringere una piccolissima vite trasparente. “Se la metti su questo piano sembra una ricetta di qualche programma di cucina modello ‘La prova del cuoco’.” Sbottò lei senza trattenere u lieve sorriso.
    “Ma da dove ti escono queste battute così orride oggi?” sbuffò Jigen addentando con ferocia un cheeseburger comprato una mezzoretta prima al più vicino Mc Donald.
    “Dalla fame che mi fai venire continuando a mangiare quelle porcherie così piene di grassi e zuccheri; sai che ti rovini il fegato? E il pancreas? Vuoi mettere un bel pancreas sano con uno tutto mollaccioso e pieno di carne di bovino trattata e ritrattata? Hai mai visto qualche statistica su internet? Quella robaccia fa venire i tumori!” sbottò lei lasciandosi sfuggire ancora una volta il cacciavite.

    “Ne vuoi un pezzo?” rispose lui sorridendo e avvicinandogli il panino alla bocca per tentarla.
    “Sì, subito.” fece Yume famelica, addentandolo con poca grazia. Jigen si chinò a cogliere per la seconda volta il cacciavite e poi prese un altro panino dalla busta con la grossa M gialla.
    “Avevi bisogno di una pausa?” disse lui dando un morso al Big Mc e Yume annuì alzando leggermente le spalle.
    “Pieno di grasso e fa venire i tumori… però è buono.” Constatò pulendosi le mani sulla salopette, senza lasciarsi sfuggire un sorriso di compiacimento. “Non è che disgraziatamente c’è pure una cola?”
    “Quanto mi dai?” rispose Jigen infilando la mano nella busta e passando il contenitore cilindrico senza aspettare risposta.

    Dopo una mezzora di meritato relax Yume riprese ad armeggiare con i pezzi della Crystal Gun che aveva già costruito.

    “A che punto sei?” chiese il ragazzo alzando lo sguardo dal Game Boy con cui stava giocando.
    “Se domani mi arrivano le altre polveri colorate dovrei riuscire a finirla entro due, tre giorni al massimo.” Rispose Yume togliendosi per un momento la mascherina di protezione dal viso. “Però dovrei prima testarla e non me la sento di farlo qui giù. Se disgraziatamente mi esplode in mano non saprei dove sbattere la testa dopo.” Continuò aggrottando leggermente le sopracciglia. “Senti, ma non è che JD si sente solo a casa?” chiese preoccupata cambiando discorso e Jigen si tirò leggermente su dal divano.

    “L’ho portato al covo e Goemon ha finalmente capito la sua propensione per il cat-sitter.” Rispose lui rievocando nella testa l’immagine del samurai che giocherellava con il gattino ridendo e carezzandolo con affetto. “Non so se te lo ridarà mai indietro quel gatto.” Concluse lui. Yume si lasciò sfuggire una risata e stiracchiò la schiena che scrocchiò minacciosa. La ragazza si guardò le spalle preoccupata e si passò una mano all’altezza dei fianchi, massaggiandosi leggermente la parte dolorante.

    “Ci sto rimettendo la salute per questa cavolo di pistola; stare tutto il tempo piegata sul tavolo non è molto salutare.” Disse la ragazza alzandosi e prendendo una pomata da un cassetto. Si slacciò la salopette e si alzò la maglietta, passandosi la crema sui fianchi massaggiandola leggermente con le dita. “Senza contare il mal di testa e le scottature che mi sono fatta con la fiamma ossidrica.” Concluse avvitando il tappo del medicinale e lo riportò nella cassa dove lo aveva preso. Jigen si alzò e stiracchiò le gambe poi si avvicinò a Yume e prese in mano un cacciavite. La ragazza lo guardò contrariata.

    “Senti, sei più piccola di me e io sparo da molti più anni di quanti tu possa immaginare. Ho avuto maestri eccezionali e con le pistole ci armeggio da quando sono nato. Questa non sarà poi così diversa da tutte le altre no? E poi basta seguire gli schemi.” Disse prendendo un piccolo pezzetto di cristallo e lo infilò nella giusta posizione senza neanche guardare il progetto. “Due teste sono meglio di una.” Disse infine e prese il calcio della pistola soppesandolo con la mano e disponendo con maestria tutti i pezzi necessari alla costruzione dei componenti.

    “Sei utile Daisuke…” disse Yume facendogli la linguaccia. Uno strano scampanellio costrinse la ragazza ad alzare lo sguardo verso l’alto. Si girò e accese la telecamera esterna del padiglione.

    “Sì, desidera?” disse lei osservando la figura di un fattorino che spostava il peso da una gamba all’altra con nervosismo.
    “Emh… io devo consegnare questa cose per la signorina Narawe Yukiko, sono quelle cose che lei ha chiesto al signor Tachibana.” Concluse lui mostrando un pacco di cartone.
    “Sì, le mando subito un uomo a ritirarlo. Buon giorno.”
    “A lei.” Rispose questo e la ragazza spense la telecamera girandosi verso Jigen.

    “A quanto pare si sono sbrigati più del solito con le consegne. Fammi questo favore, vammi a prendere il pacco e dagli questo.-gli porse una manciata di cartelline- Digli che è il pagamento.”

    Jigen afferrò i fascicoli e arrivò all’entrata del padiglione camminando piano. Aprì la porta e il fattorino fece un leggero balzo poi gli porse la scatola.

    “Q… questa è p.. p… per la signorin…”
    “Sì, abbiamo afferrato il concetto- gli diede i fogli- buona giornata.”
    “Sì, buona giornata.”

    Il ragazzo svoltò l’angolo camminando svelto. Un uomo vestito di nero gli si parò davanti e li puntò un coltello alla gola sorridendo minaccioso.
    “Hai fatto il tuo lavoro moccioso. –disse– ora puoi andare, ma bada bene a non lasciarti sfuggire una parola.”
    “No s… sign.. signore!” balbettò il ragazzo saltando il sella al suo motorino e fuggendo il più lontano possibile da quel posto.

    Intanto Jigen aveva portato giù la scatola a Yume che si era messa a pesare le quantità delle polvere di diamante con una piccola bilancia.

    “A Yume, con affetto, Tachibana.” Lesse Jigen ad alta voce, guardando con circospezione il biglietto allegato al pacco. “Yukiko Narawe è un nome d’arte?” disse lui sventolando il foglio davanti agli occhi di Yume che sorrise beffarda.
    “Il signor Tachibana è un impresario a cui devo parecchi favori e ha circa 75 anni quindi mettiti l’anima in pace Jigen. Comunque Yukiko Narawe è improvvisato, ogni volta lo cambio per non destare troppi sospetti.” Rispose prendendo la scatola e buttandola lontano dalla scrivania.
    “75 anni e non sentirli… Comunque così abbiamo ridotto di molto il tempo di costruzione della Crystal Gun. Entro quanto dovremo finirla?”domandò osservando i contenitori con la polvere di cristallo. Yume fece qualche conto a mente e poi alzò il dito indice verso l’alto.
    “Solo un giorno?” si stupì il pistolero e Yume annuì trasportando i diamanti dentro delle scatoline.
    “Sì, un solo giorno se mi continui a dare una mano e se lavoriamo anche stanotte. Per domattina presto dovrebbe essere finita. Se tu ti occupi del montaggio dei componenti, io posso andare a finire di preparare i pezzi mancanti e tutto quello che serve o manca. Sì, un giorno dovrebbe andar bene.”
    “E sia” rispose lui prendendo ad avvitare la vite cristallina con cui stava combattendo Yume poco prima.

    1 ora
    2 ore
    3 ore
    4,5,6,7,8…

    La mattina arrivò presto. Non sembrò vero neanche a loro di poter finalmente posare gli arnesi del mestiere sul tavolo e osservare il risultato di un’intera giornata di lavoro. Yume osservò la pistola.

    “È bellissima…” riuscì solo a dire. Sospirò e si stropicciò un occhio.
    “Credo che sia ora di provarla” suggerì Jigen porgendole un proiettile della misura giusta. Yume lo guardò contrariata e scosse la testa.
    “Avevamo detto di provarla fuori.” Disse aggrottando le sopracciglia.
    “Conosco le pistole meglio delle persone. Non corri nessun rischio Yume, non ti esploderà tra le mani.” Rispose lui annuendo con la testa e la ragazza allungò una mano verso il proiettile e poi verso la pistola.
    La carezzò leggermente prima di afferrarla saldamente: era fredda e dura. Camminò verso il poligono e sistemò un bersaglio al centro della zona di tiro. Prese la mira.

    “Calma…” suggerì Jigen e la ragazza socchiuse un occhio mentre nella testa le venivano in mente le parole del ragazzo mentre le insegnava a sparare. Un leggero tremolio le scosse la mano ma si riprese subito e sparò con precisione al bersaglio.

    Immediatamente un rumore metallico, quasi uno scampanellio la fece voltare. Per terra, ai piedi di Jigen c’era un proiettile, lo stesso proiettile che lei aveva tra le mani pochi secondi prima. Il ragazzo si chinò a raccoglierlo.

    “Non hai caricato la pistola Yume…” disse lui guardando la sagoma del bersaglio. “Ma lì c’è ugualmente un foro… con cosa hai sparato?” chiese rivolto alla ragazza che poggiò spaventata la pistola sul tavolo.

    “Ha sparato da sola, non so che cosa abbia bucato il bersaglio Jigen.” Rispose mentre il ragazzo scavalcava la recinzione di sicurezza e andava a recuperare il proiettile da dietro al muro. Afferrò tra le mani il piccolo oggetto e tornò da Yume, mostrandole una specie di piccola pietra dura piena di piccole sfaccettature dai riflessi arcobalenici.

    “Ti ricordi i piccoli contenitori di polveri colorate? Credo che la pistola li comprima e formi con quelle un piccolo proiettile da sparare. È una specie di garanzia sulla vita, se ti finisce il caricatore prima del tempo, puoi sempre contare su un bel po’ di proiettili fai da te. È geniale…” riuscì a dire lui mentre prendeva la pistola dal tavolo e indicava i piccoli contenitori a Yume che annuiva convinta.

    “Senza contare che essendo fatti di diamante sono ancora più duri e si pos…” La ragazza aggrottò le sopracciglia improvvisamente mentre diceva quella frase e sul volto le si dipinse una espressione si sconcerto.
    “Tutto bene?” chiese Jigen e lei lo fissò confusa.
    “Chi ci ha consegnato il pacco ha detto di essere venuto a nome di Tachibana ieri pomeriggio vero?”
    “Sì… perché?”

    Yume afferrò la Crystal Gun dalle mani di Jigen e subito dopo una fondina dal muro che attaccò alla salopette infilandoci la pistola. Corse nell’altra stanza seguita dal ragazzo e prese una specie di scatolina quadrata con la quale prese a camminare per la stanza dei computer seguendo il BIP ritmico che produceva quell’arnese infernale che stringeva tra le mani. Risalì con l’ascensore il magazzino e il suono si fece più persistente mentre si avvicinava ad una scatola posta in alto.

    “Dammi una mano a salire. Non posso spiegarti ora.” Disse lei rivolta a Jigen che la aiutò ad arrampicarsi fino all’altura. Yume buttò per terra la scatola di legno e immediatamente un piccolo marchingegno di metallo ne uscì fuori rotolando silenziosamente.

    “Jigen, corri!” Urlò la ragazza prendendo la via dell’uscita seguita dal ragazzo. Spalancarono la porta e immediatamente un boato frastornante provenne da dentro il magazzino. I due si buttarono a terra per evitare eventuali schegge ma non furono colpiti da nulla. Yume si rialzò immediatamente e si mise le mani sulla testa mentre lacrime tonde brillavano al sole.

    “Cos’era quello?” chiese Jigen scuotendo leggermente la ragazza che non perse tempo a rispondere e corse verso il capannone aprendo la porta. Una vampata di fiamme e fumo la investì in pieno e l’unica cosa che le impedì di rimetterci la pelle fu Jigen che la strattonò forte verso di lui.

    “Non… non si è rotto niente.” Disse la ragazza sospirando e Daisuke la fissò basito.
    “È tutto rivestito in titanio il piano di sotto. Potrebbe caderci una bomba atomica e non succederebbe nulla… ma io devo andare dentro a riprendere quella bomba… è sua capisci? Quella è roba sua!” urlò Yume rivolta verso Jigen che la strattonò ancora una volta.

    “Si può sapere cosa stai dicendo?” le urlò contro e la ragazza si buttò a terra per colpa di una seconda esplosione, più forte della prima.
    “Tachibana non si annuncia mai con il suo vero nome.-spiegò strillando per sovrastare il boato- Qualcuno ha intercettato il pacco e ci ha infilato uno di quei marchingegni malefici che poco fa ti esploso davanti agli occhi Jigen! Quel coso si chiama TNM, è la sigla di Takewase Nobuo’s Model. Quei cosi li costruiva Nobuo, capisci?!”

    Il ragazzo spalancò gli occhi e tirò fuori la pistola puntandola davanti a sé. Yume, incapace di muoversi, gli si accostò leggermente e premette il piccolo bottoncino che aveva sulla collana, inviando immediatamente un segnale di aiuto al GPS nell’orologio di Lupin.
    “Non-ti-muovere.” Le sussurrò Jigen mentre lei puntava lo sguardo verso la stessa direzione del ragazzo. Da dietro un capannone uscì un uomo alto minimo due metri e un essere più piccolino ma comunque ben piazzato che si diressero verso di loro ridacchiando.

    “Daisuke Jigen, abbassa quella pistola, siete circondati.” Suggerì il più basso avvicinandosi.
    “Kenta, lurido bastardo. Sei tu?” ringhiò lei ritrovando un po’ di fermezza nella voce. Il ragazzo fece un piccolo inchino.
    “Al tuo servizio Yumeki, come sempre!” e sghignazzò ancora, seguito dall’armadio che si avvicinò ai due tirando fuori un enorme fucile.
    “Kenta, ora basta con i vecchi ricordi… il capo ci aspetta! Non vorrai farlo attendere ancora?” suggerì quello facendo un cenno verso il mare lì dietro.
    “No, per carità, il capo è un tipo impaziente.- si girò verso i due ragazzi- Abbassa quell’arma Jigen, il mio amico Harlock qui non scherza.”
    “Neanche io.” Rispose Daisuke togliendo la sicura alla Magnum mentre l’armadio rideva di gusto.
    “Dacci Yume e vattene, tu non ci servi.” Disse quello imitandolo nei movimenti e impugnò il fucile con due mani.

    In quel momento un suono di un flauto interruppe il discorso e Jigen sorrise sornione.
    “Hanno fatto presto.” Disse, e Goemon comparve sulla scena sfoderando la spada e facendo fuori molti degli uomini nascosti lì intorno. Lupin arrivò sgommando con la macchina e immediatamente uscì dal veicolo seguito da Fujiko.
    “Eravamo di strada…” disse rivolto a Jigen e Yume che annuirono.

    Yume, che fino a poco prima non riusciva ad articolare una parola tirò fuori la Crystal Gun e la puntò verso Kenta e Harlock che alzarono le mani in segno di resa, cosa che non avevano fatto quando erano apparsi tutti gli altri della banda. La ragazza capì che i proiettili della sua pistola avrebbero potuto ucciderli molto più facilmente di qualunque altra arma, passando anche attraverso i giubbotti di protezione.

    Kenta si accostò al suo compagno e sorrise beffardo, lanciando a terra una piccola bomboletta di fumogeno e un TNM.

    “Correte!” urlò Jigen e subito si divisero mentre il fumo annebbiava la vista a tutti. Yume tossicchiò ma corse comunque più veloce che poteva. Si sentì afferrare immediatamente e cozzò contro il braccio di Harlock che se la tirò su una spalla e con grandi balzi uscì dalla cortina di fumo. La ragazza provò a divincolarsi inutilmente e l’uomo le diede una botta sulla testa con il calcio del fucile. L’ultima cosa che ricordò prima di svenire furono le voci di Jigen e Lupin che urlavano a squarciagola il suo nome.

    -Sono qui…- provò a dire lei, ma chiuse gli occhi esanime.
    _____________

    Angoletto autrice:

    Ragazzi, manca poco poco! Siamo quasi giunti alla fine! Ok, questo capitolo è strano. Comincia con la fine di tutto e poi riprende con la normale narrazione. Ma Yume è davvero morta? Come mai Jigen è andato all’obitorio tutto coperto di lividi e un braccio rotto? MISTEEEERO! Misà che vi toccherà leggere anche il prossimo capitolo!

    Vi lascio un disegno che dovrebbe rappresentare la forma della CRYSTAL GUN:

    www.treallegriragazzimorti.it/archives/pistola-1.jpg


    RECENSITE!
     
    Top
    .
  15. rosanna92
     
    .

    User deleted


    ciao ho letto il tuo breno e mi e piaciuto tantissimo ce sara una fine a questa storia !
     
    Top
    .
44 replies since 6/3/2009, 22:08   2705 views
  Share  
.
Top